Oggetti polverosi e vissuti lo guardavano stizziti.
Lui con una mano reggeva un ombrello, con l'altra sfiorava il Paradiso. La pioggia cadeva incessante, fitta, trafiggendogli gli occhi. Rideva osservando la polvere dissolversi. Il mondo gli appariva improvvisamente diverso, insolito, uguale. Non era più il tempo delle mele, lo capiva dai vermi che le divoravano. Uno fece capolino bucando la buccia gialla, leggermente avvizzita, di una di queste e gli chiese: " Scusa se disturbo. Non avresti qualche altro frutto? Che so, una nespola, una susina, una fragola o, sarebbe fantastico, delle giuggiole?"
Lui disse: " Aspetta un momento. Guardo nelle tasche. Dovrebbe esserci una vecchia banana. Ricordo di avercela messa una cinquantina di anni fa. Era un po' acerba e volevo farla maturare. Ora credo sia bella pronta, giusta da mangiare."Il verme rimase lì ad aspettare ma la banana non arrivò mai.
Decise, allora, di partire per lidi esotici, spiagge lontane. Comprò un costume da Carnevale e volò a Rio.
Qui giunto, si accodò subito a sculettanti ballerine di Samba ma non possedeva il dono del ritmo.
Lo misero fuori squadra ma lui, pur ritenendosi offeso, non si perse d'animo. Volle dimostrare a tutti che sapeva suonare la Bossanova come nessun altro verme sotto terra.
Comprò una chitarra, un tanga, una cassa di birra e si trasferì in Svizzera dove divenne esperto nel contare i buchi dell'Emmenthal. Ebbe la fama ma non il formaggio, era un verme non un topo. Per questo motivo fu squalificato a vita. Accusato di doping, messo alla berlina, fuggì a bordo di una utilitaria. Lo fermarono alla frontiera sparandogli con un lanciarazzi.
L'auto saltò per aria ed atterrò a Varese. Uscendo strisciando dai rottami fumanti finì sotto ai piedi scalzi di un leghista mussulmano che gli mostrò una copia del Corano scritta in bergamasco.
La lesse con avidità pur non capendone nulla.
Poi, qualcuno, gli diede una cadrega e lui, finalmente soddisfatto, si ritirò per sempre.
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