lunedì 13 giugno 2011
Bastian contrario.
Nonostante non avesse molto da dire parlava parecchio.
Al paese era noto come il Bastian Contrario.
Fin da bambino aveva dato sfoggio di questa sua capacità. All’asilo discuteva spesso con le suore che si occupavano con amore, da sempre, delle piccole speranze della comunità. Suor Gertrude, famosa per aver lasciato su una manciata di ceci un certo Giuliano, detto Pancho Villa, per un’intera settimana, era l’unica a prestargli attenzione. Sperava di coglierlo, prima o poi, prossimo ad un peccato non veniale, così da potergli impartire una lezione esemplare. Nelle sue fantasie erotiche notturne ce n’era una costante: appenderlo per i coglioni al gancio da macellaio che faceva paurosa mostra di se proprio nel mezzo del refettorio. Il nostro, pur rompendo le scatole per tutti gli anni d’asilo, non cadde mai in fallo e riuscì a salvare, con sommo dispiacere dell’amorevole sorella, i beni più preziosi che il Signore gli aveva donato. Lui ancora non lo capiva ma il futuro, che l’attendeva, glielo avrebbe spiegato chiaramente.
Alle elementari, per tutti i cinque anni, pretese di risolvere i problemi di matematica o grammatica scrivendo con la lavagna sul gessetto. La maestra tentò inutilmente di dissuaderlo, cercando di fargli capire quanto pesasse la lavagna e quanto fosse più comodo usare gli ausili didattici nel modo consono, ma lui niente, insisteva. Dopo un lungo periodo di allenamento, con sudatissime serie di pesi in palestra, riuscì finalmente nel suo intento e, ribaltando e sollevando sopra la sua testolina la lavagna, scrisse un intero dettato su un quintale di gessetti bianchi. Il Preside s’incazzò parecchio per il consumo inaudito di materiale didattico e chiamò a rapporto i genitori della piccola testa di cazzo.
Questi si presentarono acconciati al contrario. Il padre si vestiva da donna, la madre da uomo.
Il primo faceva le veci della seconda, questa del primo. Spiegarono che il loro amato figliolo, da tempo, aveva preteso che i due facessero così e li aveva convinti snocciolando teorie filosofiche, psicologiche e di comportamento, per loro incomprensibili ma formulate dal piccolo con tale trasporto che non avevano potuto fare a meno di accontentarlo. Il padre concluse l’incontro, gettando definitivamente nella disperazione il vecchio insegnante, ammettendo di trovarsi piuttosto bene nei panni di una puttana.
Il piccolo diventò ragazzo e passò alle medie inferiori.
Qui diede dimostrazione di un’eccellente capacità di testardaggine riuscendo sovvertire l’ordine di ogni cosa. L’intervallo, nel periodo della sua permanenza, divenne il momento didattico più importante, le equazioni si poterono risolvere al di là di ogni regola, la lingua straniera soppiantò l’italiano, l’ora di educazione fisica fu presa alla lettera e trasformata nell’ora di massimo godimento. Le compagne di scuola ne furono subito affascinate e coinvolte. Una, particolarmente interessata alle lezioni, travolta dall’estasi, volò talmente in alto che ancora la stanno cercando.
Quando gli consegnarono la licenza media in molti piansero dalla disperazione nel vederlo andare via. L’anno dopo entrò in un liceo classico.
Subito pretese che la scritta sul portone fosse cambiata in liceo avveniristico, poi impose ai bidelli di non suonare la campanella e di mettere una fetta di pane tra due di salame. Cambiò ruolo ai professori trasformandoli in alunni ignoranti e sfaccendati, passò dall’orario diurno a quello notturno, aprì nell’aula grande una discoteca. All’esame di maturità si dichiarò immaturo ma nessuno gli diede peso. Ormai si erano abituati talmente tanto alle sue stranezze che lo licenziarono a pieni voti, sessanta/sessantesimi. Lui pretese che sul diploma avveniristico il punteggio fosse scritto al contrario. Lo accontentarono ancora una volta e gli diedero imisetnasses/atnasses.
Contento, si iscrisse all’Università, Facoltà: Faccio quello che voglio.
La laurea arrivò in un battibaleno grazie alla sua forbita retorica ed un’inossidabile tenacia nel rompere le palle a chiunque, fossero illustri cattedratici o semplici aiuti, improvvidamente gli ponesse una domanda.
Con centodiecielode e diritto di pubblicazione entrò nel mondo del lavoro.
Assunto da un’Azienda dell’hinterland napoletano, specializzata nel recupero crediti e smaltimento rifiuti, il primo giorno si presentò, in sella alla sua amata bicicletta con le ruote quadrate, abbigliato da vecchio boss mafioso, con tanto di coppola e fucile a canne mozze, parlando uno stretto dialetto siciliano.
I datori di lavoro non la presero bene e questa volta gli andò male.
Quando, la sera stessa, gli chiesero di entrare in un pilastro di fresco cemento armato preparato, appositamente per l’occasione, in suo onore, lui obiettò che si dispiaceva ma non riteneva di avere colpa se vedeva tutto al contrario. Parlò per due ore all’incaricato dello smaltimento che, gentilmente, lo ascoltò con attenzione.
Alla fine, senza batter ciglio, il sicario gli disse che capiva il suo particolare punto di vista e avrebbe fatto di tutto, pur avendo una certa fretta, per venirgli incontro.
Lo immerse nel cemento a testa in giù.
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento