mercoledì 12 ottobre 2011
DA QUELLA FINESTRA SI VEDE IL MARE.
Il nano alla guida di un SUV gigante alzando polvere sgommava sulla strada sterrata. Seduta al suo fianco la donna cannone, stordita dall'erba, indicava la via. Al primo incrocio, tra il deserto e la savana, un pesce pagliaccio faceva l'autostop. Il SUV si fermò, il pesce salì. “Ora il circo è completo, stasera si balla.” disse il nano al leone sdraiato sul sedile posteriore. “Ti sbagli, amico” rispose il felino” Tu ballerai stasera, io ho altro da fare. Guida, taci e non ci provare.”
Qualche km avanti Distolfo attendeva, con infinita pazienza, un treno che non sarebbe arrivato mai. La ferrovia, ancora in fase di progettazione, prevedeva una lunga galleria di cartone illuminata da luci colorate rubate dagli alberi addobbati per la notte di Natale. Purtroppo, in una notte sola, non si riusciva, da anni, a metterne insieme il quantitativo necessario così l'opera tardava a venire. Distolfo lo sapeva ma non gli importava, aspettare, in fondo, in quel tempo buio, era una buona occupazione.
Così, fermo e col pollice alzato, in assenza di treni, Distolfo sperava che una nuvola di polvere s'alzasse in lontananza. Lui, a differenza di altri che avevano coltivato l'usanza di mettere in mostra il dito medio precedentemente dipinto di verde, usava, da sempre, solo il pollice per farsi notare. Sapeva che anche il suo, in fondo, era gesto politico. Chiedere un passaggio, a chi correva nel frastuono del nulla, era come dire: " Ehi, amico, anch'io esisto! Sono qui e voglio andare da qualche altra parte. Dove non importa. Portami dove vuoi ma non in luoghi che non esistono come la padania o a feste con il bungabunga o in qualche cortile dove, alla catena, aspettano l'osso cani come E. Fede.”.
Ecco, Distolfo, sul ciglio di una strada qualunque, non chiedeva altro che un passaggio per un giusto mondo, sapendo benissimo che, ottenerlo, sarebbe stato praticamente impossibile.
Intanto il nano guidava attento distraendosi spesso mentre ruotava la testa di 360° gradi sul collo cercando di impressionare i compagni di viaggio. " Continua così brutto nano del cazzo ed andremo a sbattere da qualche parte!" ruggì il leone passandosi una striscia di rimmel sulle ciglia. " Ok sire" replicò il nano " Stavo solo giocando un poco. Che noia, però, che siete! Mai una risata, sempre cupi. Che dite, cantiamo una canzoncina?"
" No, non ne abbiamo voglia e poi siamo giù di voce qui dietro." disse il pesce pagliaccio.
" Lasciaci in pace nano! Abbiamo sonno e desideriamo sognare." chiosò sbadigliando il leone.
" Sognare è tempo perso a questo mondo. Come essere ubriachi ed addormentarsi su un monte di spazzatura. A prima vista può sembrare comodo ma poi la puzza ti uccide." concluse la donna cannone aspirando un’enorme boccata dal joint, sparandone con violenza il fumo nei polmoni per poi espellerlo, con tutta la forza di cui era capace, unitamente ad un grandioso, tonante rutto, fuori dal finestrino. Il cielo, prima limpido, divenne improvvisamente scuro ed alcune stelle traballarono vistosamente e caddero, fingendosi Draconidi, frantumate dai decibel.
Un paio di continenti più in là, Arcazio accudiva al suo unico paio di scarpe. Stendeva con cura il lucido, partendo dalla punta per poi spalmarlo dolcemente su tutta la tomaia, servendosi di un morbido piccolo pezzo di stoffa, con moto lento, costante, circolare. Finita la destra, che depositò delicatamente in una scatola di cartone bianco, passò alla sinistra. Nel farlo si fermò un attimo a pensare. Si disse che se, un anno prima, non avesse incontrato l'amore non avrebbe più saputo che farsene di quelle vecchie ma belle scarpe. Terminò il lavoro sorridendo, tra non molto le avrebbe di nuovo calzate quelle scarpe. Lo avrebbe fatto per uscire di nuovo, per immergersi, un’ultima volta, nelle luci e mille voci della notte.
Lo avrebbe fatto per tornare a ballare.
..segue..
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