La mattina dopo, al canto del gallo, Roberta si alzò.
Dopo essersi stropicciata gli occhi, infilata le ciabatte e
scrollato dal pigiama un grumo di tagliatelle al pesto, si diresse in cucina.
Aprendone la porta con un calcio colpì violentemente il gatto che
finì la sua vita spiaccicato sul frigo.
Prese il bricco del latte, ne bevve un sorso, lo ripose. Chiudendo
l’anta si accorse del gatto e lo gettò dalla finestra.
Poi vide la tavola e le venne da vomitare.
Una pila enorme di piatti sporchi l’osservava ghignando. L’intero
servizio di posate ereditato dalla nonna, unto e bisunto, ridacchiava. Una fila
lunghissima di bicchieri macchiati di vino ammiccava. Per terra, in un angolo,
tovaglia e tovaglioli, abbelliti da medaglioni multicolori, ruggiva. Sulla
credenza, sulla stufa, sul piano di cottura, sulla lavastoviglie rotta da mesi,
sulla lavatrice, pentole e piatti da portata colmi di avanzi infestati da
nugoli di mosche.
Per prima cosa spalancò la finestra per favorire il cambio dell’aria
e l’aria cambiò raggelandole le ossa. Fuori, la temperatura era sotto lo zero.
Affacciandosi vide, nel giardino condominiale, il vicino armato di
martello e scalpello intento nell’opera di liberare il cane dal ghiaccio.
Lo salutò chiedendogli se avesse passato un buon Natale, questi le
rispose con un rutto.
Lei disse “ Salute!”.
Lui “ Vaffanculo!”.
Richiuse la finestra e voltandosi si trovò circondata dagli
avanzi. Minacciosi.
Facendo finta di niente cominciò a muoversi lentamente verso l’uscita
ma questi si disposero a barriera davanti alla porta. Allora, lei, prese la
ricorsa e, pensando a Fosbury, tentò di saltarli ma, proprio nel momento di
staccare, mise il piede d’appoggio su una fetta d’arrosto perdendo l’equilibrio.
Cadde sull’insalata russa, tentando di aggrapparsi ad una fetta di
panettone.
In un attimo gli altri avanzi le furono addosso e, dicono le
cronache, che non ci fu nulla da fare.
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