martedì 17 maggio 2011

Carta straccia.

Lo scrittore fallito aprì un negozio di carta straccia in un sobborgo di New York e fece fortuna.
I fogli sporchi d’inchiostro, pieni di parole, punteggiatura e capoversi inutili, andarono a ruba.
Nessuno riusciva a capire il motivo di tanta passione, tantomeno l’uso che ne veniva fatto ma la gente pareva impazzita, sembrava non poterne più fare a meno.
Dopo due anni di intensa attività gli vennero dedicate le copertine di Capital e Men & Money.
Divenne così famoso che un importante editore lo implorò di pubblicare i suoi scritti. Lui rifiutò.
Non che non volesse più scrivere, anzi produceva tantissimo, in continuazione, ma esclusivamente per far fronte alle richieste sempre più pressanti della cannibalesca clientela del negozio che, nel frattempo, era stato trasferito nella 5th Avenue accanto all’atelier di un noto stilista italiano.
Questi, notando il voluminoso giro d’affari, ebbe l’idea di provare a fabbricare vestiti d’alta moda utilizzando chili di risme usate del vicino.
L’ex scrittore accettò.
La sfilata si tenne sei mesi dopo al MoMa ed ebbe un incredibile successo.
Tutti i giornali del mondo ne parlarono, le televisioni fecero a gara per intervistare i due.
Lo stilista si concesse pavoneggiandosi in un completo appena cucito fatto con i soli incipit dei vari romanzi cominciati e mai finiti dall’ex scrittore, questi si dichiarò contento ma turbato.
Fu poco partecipe e la giornalista della CNN inviata ci rimase male.
Si giustificò dicendo che le parole le aveva ormai consumate tutte per diventare ricco e non aveva più molto da dire.
Il negozio divenne rapidamente un’industria e fu quotato in borsa. Il titolo andò benissimo e restò in crescita per tutto l’anno successivo. Lo stilista divenne uno dei più importanti azionisti e si trascinò dietro facoltosi investitori di tutto il pianeta.
Tutto andava a gonfie vele, l’entusiasmo alle stelle.
Lo scrittore non pensava più a scrivere libri, preferiva compilare assegni.
Poi, un giorno, sorprendendo tutti, cedette la sua quota maggioritaria della ormai faraonica multinazionale, acquistò un’isola caraibica e vi si ritirò.
Sulla spiaggia dorata fece costruire una capanna di legno,il tetto fatto con foglie di banano.
Ci mise un tavolo, una sedia sgangherata e la sua vecchia Lettera 22.
Ogni mattina, dopo aver fatto un’abbondante colazione servitagli da alcune donnine poco vestite, lasciava la mega villa sulla collina per scendere alla capanna portandosi dietro un plico di fogli bianchi A4. Appena giunto ne infilava uno nel rullo e aspettava un’idea.
Non arrivava mai e, ogni sera, tornava alla reggia deluso.
Un giorno, uno dei tanti, gli venne l’ispirazione.
Riempì di getto centinaia di pagine e, quando ebbe finito, si accorse di aver dato vita al più bel romanzo che fosse mai stato scritto.
Ne ebbe paura e lo gettò in mare.
Il giorno dopo fece distruggere la capanna e seppellire la Lettera 22.
Nel frattempo le maggiori testate del pianeta s’interessarono, quasi ogni giorno, della strepitosa ascesa di quella piccola idea nata dalla disperazione e dallo sconforto.
L’ideatore di quella incredibile fortuna venne candidato, insieme ad altri, al Premio Nobel per l’Economia.
Naturalmente la carta straccia vinse, stracciandoli tutti.

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