Quando nacque mai avrebbe pensato di vedere tanto.
Venne al mondo in quella mattina, proprio mentre l’intero Paese splendeva di nuova luce. Suo padre, dopo aver baciato con passione colei che l’aveva partorito, lo prese in braccio e volle avvolgerlo in una bandiera tricolore. Poi lo portò al balcone per mostrarlo all’universo. Parecchi lo videro pisciare dalla finestra ed applaudirono festanti. La gente pareva impazzita, rideva, correva, ballava, cantava. Gli diedero quel nome, Libero, in segno di buon augurio per il futuro che, improvvisamente, a tutti pareva possibile. Il nuovo nasceva, il vecchio cattivo moriva. I tempi sarebbero cambiati, l’odio, la paura, l’orrore lasciavano il posto alla bellezza, alla gioia, all’amore. Lo straniero assassino era sconfitto, il rosso non avrebbe sporcato più nessun prato, il nero sarebbe mutato in bianco.
La sera il cielo era stellato, la primavera, dopo anni d’amaro, dolcissima.
Libero fu festeggiato per tutta la notte, all’alba del giorno dopo qualcuno ancora suonava una fisarmonica.
Tra le macerie degli uomini qualcuno gettò del cemento, della colla, del ferro e, in mezzo a quella rinascita collettiva, Libero, velocemente, cresceva. Ogni anno, per anni, il padre lo volle in prima fila alla manifestazione celebrativa per il giorno della libertà, munito della stessa bandiera nella quale era stato avvolto quando nacque. Lui la portava con orgoglio urlando a tutti il suo nome, Libero.
Poi, come in un assurdo caleidoscopio, successe un po’ di tutto.
Negli anni incontrò persone come Tambroni, Almirante, Andreotti, Leone, Fanfani, Longo, Moro e non gli piacquero molto. Amava di più uomini come Gramsci, Togliatti, Berlinguer, Pertini. Gli piacque moltissimo H.Herrera e il suo famosissimo ” Taca la bala!”. Anche Bartali, Coppi e Gimondi lo appassionarono non poco. Bandini lo vide morire a Montecarlo mentre correva su un bolide tutto rosso, i Beatles e i Rollig Stones gli cambiarono l’idea della musica. Portò pantaloni a zampa d’elefante e basette lunghissime. Salì sulle barricate durante il ’68, predicò l’amore libero, anche in nome del suo nome. Entrò in Mondo Operaio e Lotta Continua, disegnò qualche stella a cinque punte. Divenne un paladino della libertà ad ogni costo. Quando lo disse al padre questi, per la prima volta, gli rispose che non era d’accordo. Andò via di casa, nascondendosi un po’ ovunque. Rivide il rosso ritingere le strade e il nero ricoprire un’altra volta tutto. Negli anni che vennero mise a frutto la laurea in Economia, entrò vestito di grisaglia nella Milano da bere, divenne manager in una grande multinazionale, mollò gli operai al loro destino, si convertì al vecchio che avanzava. Sui biglietti da visita, dopo il Dott. decise di far scrivere Silvio, il suo secondo nome, ritenendolo più consono.
Improvvisamente suo padre morì e lui lo seppe solo dopo qualche mese.
Una sera, andando a far visita alla madre, questa gli consegnò una busta rossa chiusa.
Sopra c’era, scritto a lettere grandi, il suo nome, Libero.
Aprendo la busta con un tagliacarte d’oro si accorse che conteneva solo un foglio, bianco.
Alla fine del nulla una firma, Giovanni.
Il nome di suo padre.
Bel post e bel blog, quando riacquisterò un po' del mio vecchio raziocinio passerò ad approfondire il resto, A presto ..
RispondiEliminaArtemisia