martedì 19 ottobre 2010

Regolo.

Lo vedevo passeggiare nelle sere d'estate lungo la strada di mattonelle rosse affacciata sul mare, oppure mentre aspettava il filobus per andare al Casino, o dalla spiaggia mentre passava con la sua piccola barca a vela. Sempre ben vestito, elegante nel portamento, bello sia in costume da bagno che con un Panama in testa. Quando lo incontravo non provavo rabbia anche se, forse, avrei dovuto. Non riuscivo ad odiarlo, avevo solo due anni quando se ne andò, praticamente non lo avevo mai sentito mio padre. Così quando capitava a tiro, cercavo di studiarlo, di capirlo. Ero curioso. Di lui sapevo poco: geometra, diploma conseguito a Mondovì in Istituto gestito da religiosi, figlio di un dirigente della rete elettrica, ex partigiano, grande giocatore. Così, un giorno, decisi di incontrarlo. Sapevo dove abitava e suonai alla porta. Lui aprì e, nonostante fossero passati anni dall'ultima volta che ci eravamo visti, mi riconobbe. Mi chiamò per nome, mostrandosi leggermente sorpreso, e con un malcelato imbarazzo mi disse di entrare. L'appartamento era semplice ed ordinato ed aveva una piccola saletta dove c'erano due poltrone di pelle e un tavolino con sopra il telefono ed alcune riviste. Ci accomodammo studiandoci un poco e poi conversammo. Chiesi della sua salute, avevo saputo dei suoi problemi di cuore, lui disse che non era nulla di grave e che tutto era sotto controllo. Mi domandò che facevo, se studiavo o lavoravo e quando dissi che ero Agente di Commercio non fece salti di gioia. Disse che era un mestiere difficile e poco sicuro e mi offrì di lavorare nella sua Agenzia Immobiliare. Io rifiutai senza offenderlo e lui disse: "Pensaci." Poi mi offrì un caffè. Dopo il caffè mi offrì la sua barca a vela, dopo avermi chiesto se amavo il mare, tanto lui non la usava più ed era abbandonata al portocanale coperta da un telo e non voleva venderla. Gentilmente di nuovo rifiutai dicendo che non avrei saputo che farne dato che non sapevo andare a vela. Infine mi chiese se avevo una moto. Dissi di no e allora mi propose di prendere in regalo il suo motorino, un Califfo 50 ed io pensai che solo lui poteva avere un motorino con un nome come quello. Ancora lo ringraziai ma dissi no. Ci guardammo un attimo negli occhi, lui sorrise e chiese: " Ti piace l'azzardo?"- " Dipende." dissi io. "Intendo il gioco.." fece lui. "No" risposi. " "Bravo! Non ti fare mai tentare. Guarda me. Ho perso una famiglia a causa di questo maledetto vizio.". Poi sospirò un attimo e guardandomi con attenzione, forse cercando qualche particolare che potesse assomigliargli, si avvicinò, posò la mano destra sul mio ginocchio sinistro e disse con voce soave:" Però se dovesse mai capitarti di entrare anche per sbaglio in un Casino e dovessi passare davanti ad un tavolo della roulette giocati questa sestina, è magica." ed elencò la serie di numeri. Restammo qualche attimo in silenzio fissandoci negli occhi. Dopo ci alzammo e lui mi accompagnò alla porta ringraziandomi della visita. Ci salutammo sulla soglia ed uscii. Appena l'uscio si chiuse dolcemente dietro le mie spalle cercai di ricordarmi quella serie di numeri ma, come per magia, erano spariti dalla mia mente. Avevo già dimenticato.      

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