martedì 22 marzo 2011

Nel cuore.

A lui piace star lì da sempre, fin da quando era bambino. Ama quel posto, quella profonda quiete. Sotto quell’albero, su quella collina, ha letto, pensato, scritto, riso e pianto. Oggi ha quarant’anni e ancora un bel po’ di vita davanti e vuole viverla tutta, fino in fondo, senza timore, con coraggio.
Come sempre è salito fin lassù per cercare, nel silenzio, una risposta.
Quello che gli sta capitando non gli piace, non lo accetta.
Qualcuno, qualcosa si è infilato con violenza nelle sue vene, nel suo sangue e cerca di avvelenarlo, di ucciderlo lentamente.
Sono passati dieci anni da quando il padre, ucciso da un cancro che non era malattia del corpo, gli consegnò l’attività di famiglia, raccomandandogli di non mollare, di proseguire il lavoro con l’onestà necessaria, in nome della famiglia, dell’onore, quello vero. Di farlo per i figli che sarebbero venuti e anche per lui che doveva andarsene contro la sua volontà. Gli fece quelle raccomandazioni stringendogli con forza la mano destra, quasi sussurrando, piangendo. Poi gli disse che si sentiva stanco e lo invitò, dopo averlo ringraziato, ad uscire dalla stanza. Quella fu l’ultima volta che lo vide vivo, che udì la sua voce. Il giorno del funerale, dietro al carro funebre, non c’era quasi nessuno del paese. Solo lui, i quattro fratelli, la madre e qualche parente. La gente li aveva lasciati soli nel dolore. Il prete fece una veloce funzione evitando di invocare l’ira di Dio su chi aveva causato quella morte, quelle lacrime, quell’odio, quel male. Al cimitero, prima della sepoltura della bara, impartì la benedizione alla salma ed ai congiunti con un gesto della mano tracciando una timida croce in aria. Poi, col capo chino, tornò, a passo svelto, verso la parrocchia.
Ora tocca a lui. Il cancro, da allora, non lo ha mai mollato un attimo, non gli ha mai concesso respiro. Come gli chiese il padre, lui, ha continuato a combatterlo con tutte le forze di cui disponeva. Mai ha ceduto, mai ha mollato.
Non ha perso, né ha vinto. Ha solo lottato. Con rabbia, con disperazione, con coraggio. Da solo. Il giorno che si è affidato alle Istituzioni, allo Stato, denunciando chi lo vessava, non ha trovato reale aiuto. Si, è andato ospite in televisione a raccontare la sua storia ma, poi, passato il momento, nessuno più si è ricordato di lui. Sfruttato, questa è la parola giusta. Dai media, da giornalisti interessati solo allo share, alla pubblicità che porta denari, tanti, a chi va in onda.
La sua azienda è ormai fallita. Il suo sogno svanito. Il cancro gli ha portato via tutto, persino una gamba. Non può più correre da quando gli hanno sparato per convincerlo a desistere. Quando le pallottole gli sono entrate nella carne spezzandogli le ossa, ha provato un dolore terribile ed un’infinità pietà.
Per tutti quelli che non riescono, stravolti dalla paura, a ribellarsi ad un destino da schiavi.
Lui no, non si è mai arreso.
Seduto all’ombra della grande quercia ammira l’infinito paesaggio.
Le colline che scivolano nel mare sono bellissime. L’aria è pulita, il sole caldo.
“Tutto questo è nostro, è stato Dio a consegnarcelo e, per l’amore di Dio, dobbiamo riaverlo.”.
Questo pensa mentre soffia verso il cielo il fumo di un Toscano.
Domani, alla manifestazione contro tutte le mafie, sarà in prima fila, con la testa alta ed il cuore alato.
Lui sa che l’unica vera fonte di energia che può salvare il mondo sta proprio lì.
Nel cuore.

1 commento:

  1. Un altro incisivo presagio di un domani non del tutto futuribile in quel della Riviera.

    RispondiElimina