mercoledì 20 marzo 2013

La zattera.

Sesterzio, stanco dei noiosissimi dibattiti TV sulle possibilità di mettere insieme un qualche plausibile Governo capace di dare risposte ambigue ad un popolo discretamente ingovernabile, angosciato dall'altalenante, incomprensibile, terroristico spread, dalle mistificazioni di Papa buoni, dalle molte guerre o missioni di pace come oggi piace definirle, e, soprattutto, a causa di un frigorifero costantemente vuoto, decise di costruire, utilizzando i dodici cartoni contenenti ciascuno dodicimila confezioni di stuzzicadenti acquistati, in un momento di particolare euforico ottimismo, al tempo in cui gestiva una trattoria, una zattera che lo portasse lontano. Scese in cantina, dove gli pareva di avere stipato i cartoni ma non li trovò. Tornò in casa, la perlustrò tutta con meticolosa attenzione, l'appartamento consisteva in una sola stanza e quindi non ci volle molto, e, finalmente, li vide, proprio lì, in mezzo alla stanza con sopra il materasso. Spalancò la finestra, lanciò di sotto il giaciglio, aprì il primo cartone, estrasse la prima confezione di stuzzicadenti ed iniziò l'opera. Dopo tre anni di duro, intenso, appassionato travaglio, e duecentotrentasettemila tubetti di Vinavil, rimanenza di un'ordinazione che fece, in un altro momento di sfrenato ottimismo, quando tentò l'attività di tappezziere, l'opera era completata. Come albero maestro mise un abete in plastica di Natale con palline colorate incorporate, per timone l'anta del frigorifero. Mancava la vela. Gli sovvenne di un vecchio maglione di lana, fatto amorevolmente a mano, parecchi anni prima, da una sua morosa innamorata di un altro, fuori taglia di almeno dieci misure. Lo cercò, lo trovò, lo issò. Finita, la zattera era pronta al varo. Salì al posto di comando e si promosse ammiraglio. Poi scrutò a lungo l'orizzonte, mise persino la mano a guisa di visiera per proteggere la vista dal riverbero della luce della lampadina da trenta candele che penzolava dal soffitto e tutto quello che vide fu la porta d'ingresso. Decise di abbatterla e di allargare l'entrata con un trapano a mano da falegname. Ci vollero altri due anni di metodico, pervicace lavoro. Giunto al termine trascinò la zattera sul pianerottolo, corse in cantina e ritornò con una bottiglia di spumante Riccadonna completamente esausta, la legò ad un filo di canapa prelevato dal tubo di scarico del lavabo e si accinse al varo. Poi gli venne in mente che, per un varo serio, era necessaria una madrina. Decise di chiedere aiuto ad una anziana che abitava tre piani sopra. Salì di corsa le scale e suonò il campanello. La porta si aprì ed apparve una arzilla, assatanata novantenne, in babydoll, calze a rete e tacchi a spillo che lo prese per i capelli e lo trascinò dentro urlando di piacere.
La zattera restò lì, in eterna attesa del nocchiere che non tornò mai più.
Qualche giorno dopo, l'amministratore del palazzo, la fece rimuovere da alcuni energumeni ai quali, una simpatica anziana che viveva tre piani più sopra, volle, a tutti i costi, offrire un bicchiere di Vermouth.

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