giovedì 30 dicembre 2010

Buon Anno!

   Quando arrivò all'ultima pagina del suo diario si accorse che l'anno era finito. Chi l'avrebbe mai detto, trecentosessantacinque giorni prima, che tutto sarebbe cambiato. Le ultime parole che scrisse furono " Buon Anno " seguite da un punto esclamativo. Era l'augurio che rivolgeva a se stesso per un tempo che doveva arrivare e, ora che l'aveva messo nero su bianco, poteva voltare pagina, chiudere il blocco note Schnitzler destinato al duemiladiciotto, accarezzarne la copertina rossa in brossura, sistemarlo in uno scaffale, dimenticarlo per sempre. Fece tutto questo la notte del trenta di dicembre. Il giorno dopo, sapeva, non avrebbe avuto modo di scrivere nulla, così decise di chiudere l'anno in anticipo. Sulla finestra rimbalzavano le luci colorate di un Luna Park. Alzò gli occhi al cielo per vedere le stelle e le stelle abbassarono i loro per guardarlo. Sul Grande Carro trainato da cavalli alati vide Dio, con le briglie serrate in una mano e una bottiglia di Pommery nell'altra lanciato a tutta velocità lungo la Via Lattea, che gli sorrideva riconoscendolo figlio suo. Aprì i vetri e nell'aria fresca urlò con tutto il fiato che aveva in gola il suo nome. Poi richiuse e tornò a sedere. Prese tabacco e cartine e si rollò una sigaretta. Mentre con la lingua umettava il lato adesivo della piccola striscia di carta da un occhio scivolò una lacrima. Una sola. Percorse lentamente tutto il viso per poi staccarsi dal mento e cadere nel vuoto. Si fermò a mezz'aria, rimanendo sospesa all'altezza delle ginocchia. Lui allungò un braccio e la raccolse nel palmo della mano. La avvicinò agli occhi per osservarla meglio. Vide che era perfettamente sferica, trasparente. Si accorse che dentro nascondeva un'altra piccola sfera che brillava come un diamante. Si alzò lentamente e si diresse verso la libreria. Con la mano libera prese il diario che aveva appena riposto, lo aprì all'ultima pagina e vi appoggiò delicatamente la sua lacrima. Poi richiuse. Ora l'anno era davvero finito.

giovedì 23 dicembre 2010

Tanti auguri!!.

    Babbo Natale, una volta finito di caricare di doni la slitta, passò in Direzione dove gli venne consegnato il Libro degli Indirizzi dei Buoni. Unitamente, in una apposita busta color oro, gli diedero il nome del luogo e della famiglia presso la quale avrebbe dovuto svolgere l'annoso e poco piacevole compito di infilarsi in un camino per consegnare di persona ai fortunati prescelti quanto spettante come da elenco allegato. Da qualche anno andava così a causa della crisi economica mondiale. Il Governo di Natalilandia aveva deciso tutti i tagli possibili alla spesa pubblica e anche i costumi di Babbo erano stati ridotti a solo due da utilizzare con parsimonia. Così si era deciso di estrarre a sorte una sola famiglia nel mondo che avrebbe avuto il privilegio di vederlo scendere dal camino. La decisione, a differenza di molte altre, fu accolta con favore dal Sindacato del Babbo di cui Natale era peraltro l'unico iscritto e rappresentante. Ritirate le consegne, Babbo mise il tutto in una borsa di pelle di renna, salutò augurando a tutti un Buon Natale e sghignazzando uscì nella tormenta di neve. Salì sulla slitta e prima di mettersi al posto di guida estrasse dal mobile bar una bottiglia di Vodka purissima che scolò in un attimo. Poi lanciò il vetro in testa alla prima della fila delle renne che partì al galoppo trascinandosi dietro il resto della muta per decollare con successo poco dopo. Babbo Natale inserì nel pilota automatico i dati di navigazione destinazione " Bergum De Ura ". Il luogo gli era completamente sconosciuto. " Certamente si tratta di qualche villaggio sperduto nel Centro dell'Africa. Roba di capanne di fango e riti wudù." pensò " Speriamo che 'sti selvaggi abbiano almeno un po di buona acquavite." concluse prima di addormentarsi con il cappello calato sugli occhi. Durante il viaggio sognò di trovarsi su di una spiaggia delle Maldive, tra le braccia di una bellissima, giovane indigena che mentre lo accarezzava ovunque lo chiamava, sospirando, Babbino mio. Un atterraggio non dei migliori lo svegliò bruscamente. Lui si adirò, scese e, dopo aver staccato con un morso un'orecchio della renna pilota, diede un'occhiata intorno. Strano non c'erano Zulù nei pressi, ne capanne. Nemmeno un cane. Anzi no uno c'era. Stava dietro il cancello di un'anonima villetta a schiera immersa in una fetida nebbia. Un Rotweiler incazzato come non mai che abbaiava e ringhiava in modo assordante. Per non rovinare la sorpresa alla famiglia Brambilla che abitava in quella casa, di cui aveva appreso il nome aprendo la busta d'oro, diede alla bestiaccia una polpetta avvelenata a base di cassola e riso alla milanese. Il cane la inghiottì in un sol boccone cadendo a terra fulminato un attimo dopo. Tornato il necessario silenzio, Babbo prelevò dal bagagliaio della slitta i doni per i Brambilla, li mise in un sacco di Vuitton e cominciò la scalata. Giunto sul tetto con una certa fatica, gli anni cominciavano a pesare, individuò il camino e vi si infilò. Quando giunse a terra e fece per dirigersi lentamente verso l'albero di Natale, che era nel centro della stanza splendidamente addobbato ed illuminato, in un attimo si trovò circondato da un gruppetto di persone in pigiama con dei randelli in mano che iniziarono a picchiarlo selvaggiamente urlando " Dagli al neger!!" all'impazzata. Purtroppo scivolando lungo la canna fumaria si era completamente ricoperto di fuliggine ed effettivamente, pur non volendo minimamente giustificare quei padani poco ospitali, lui stesso si rendeva conto di assomigliare molto di più ad un Mandingo ad Oslo che ad un Santa Klaus canonico. Quando il nonno dei Brambilla, leghista di prima generazione, accese la luce chiedendo agli altri se fossero riusciti ad ammazzare il neger, tutti si resero conto del terribile errore. Il geometra Brambilla, a nome di tutta la famiglia, si disse rammaricato e fece le più sentite scuse. La signora chiese al Babbo se volesse, per tirarsi un po' su, un dito di Grappa e gli porse la bottiglia. Babbo la prese al volo, strappandogliela di mano, e la finì in un secondo. Gli occhi divennero di brace, i muscoli si gonfiarono a dismisura, il costume esplose e andò in mille pezzi. Ci fu un momento di spaventoso silenzio. Qualcuno spense la luce, subito dopo l'albero. Nel buio più assoluto si udì un urlo straziante. Quando la luce tornò Babbo Natale era scomparso e con lui i doni. In un angolo, vicino al camino, il nonno rantolava con una  bottiglia vuota di Grappa nel culo. I tre piccoli Brambilla si misero a piangere appena realizzarono che per quest'anno non avrebbero avuto nulla nonostante avessero diligentemente compilato, come richiesto dal maestro della locale scuola elementare, le letterine a Babbo Natale con inchiostro verde e giurarono che, appena raggiunta l'età per votare alle elezioni, avrebbero messo la loro croce sul Partito di Autonomia Sardo. Nel camino ardeva un falò alimentato dal Diploma di Geometra del Brambilla e dall'intera Enciclopedia della Cucina e Tradizione Padana, Opera in dieci volumi di cui nessuno avrebbe mai sentito la mancanza. Ormai in viaggio per altri lidi, Babbo Natale, masticando uno zampone genuino padano prelevato dai Brambilla, si chiese se non avesse esagerato. Decise per un fermo " No! "e si buttò tutto alle spalle, compreso l'osso dello zampone con un sonoro, rotondo rutto. Poi allentò le briglie e schiacciò sull'acceleratore. Le renne misero il Turbo. Bisognava fare in fretta. Non rimaneva molto tempo. Manca poco al Natale.
A proposito: TANTI AUGURI!!!.
  

martedì 21 dicembre 2010

Racconto di Natale.

    L'uomo meraviglioso si sedette a capo della tavola e, portandosi l'indice della mano destra alle labbra, chiese a tutti di fare silenzio. Nell'immenso salone da pranzo, attiguo a quello delle feste, non volò nemmeno più una mosca. I centododici invitati, sconosciuti tra loro, deposero quanto avevano in mano, chi un bicchiere di cristallo, chi una posata d'oro, chi una coscia di pollo, chi un seno della vicina. Quelli che avevano in bocca qualcosa masticarono e deglutirono in fretta. Solo la signora cinquantenne maggiorata seduta, come da segnaposto marchiato a fuoco sulla schiena di ogni invitato, da un impeccabile maggiordomo, poco prima di venire accompagnato alla rispettiva seggiola da un personale cameriere, ebbe qualche difficoltà a causa delle dimensioni enormi del pene che stava gustando, appartenente ad un attore porno in piena attività che la fortuna le aveva posto al fianco. Quando riuscì, con sforzo bestiale, a serrare le mascelle, lo stallone evirato prese a zampillare sangue come un idrante ma, incrociando gli occhi severi dell'uomo meraviglioso, riuscì a trattenere il dolore e si accasciò senza nemmeno un urlo. Accorsero, su ieratico segnale del padrone di casa, alcuni inservienti con una carriola sulla quale caricarono l'infortunato trasportandolo velocemente via. Dalla panchina delle riserve, posta in fondo al salone, si alzò un nano in smoking, che, dopo aver fatto alcuni esercizi di riscaldamento, prese il posto appena lasciato libero dal titolare. Il maggiordomo fece la conta per accertarsi che tutti i posti fossero nuovamente occupati. Quando ebbe finito fece un segnale di OK all'arbitro che mise il fischietto in bocca e decretò la ripresa del pranzo. L'uomo meraviglioso alzò una mano, due vallette, completamente nude e ben fornite, vennero fluttuanti e leggere e lo aiutarono ad alzarsi dall'immenso trono su cui era accomodato. Ad un secondo segnale della mano le vestali sparirono. L'uomo meraviglioso era altissimo, bellissimo, con capelli lunghi corvini su spalle titaniche ed occhi di brace luminosi e penetranti. Si chinò in avanti arrivando col capo quasi nel mezzo della lunghissima tavola e ruotando il viso da una parte e dall'altra cercò qualcuno. Il suo sguardo, terribilmente affascinante, si fermò su di un Cardinale di rosso vestito. L'alto prelato, intimorito, fece un timido sorriso e allungò la mano di bianco guantata con l'anello al dito. L'uomo meraviglioso sfilò il prezioso rubino e, dopo essersi calato i pantaloni suscitando cori d'ammirazione nelle signore presenti, se l'infilò nel culo. Poi schioccò la lingua. Un attimo dopo un plotone d'esecuzione, armato con moschetto modello '15/'18, prelevò il Cardinale e lo passò alla baionetta. Il tutto si svolse nel silenzio più assoluto all'interno della stanza della musica. Si udirono solo alcuni urletti quasi di piacere che fecero capire bene le tendenze sessuali del giustiziato. Poi il pranzo riprese e tutti si misero in moto. Nella grande stanza partì un gran vorticar di mandibole, di denti che azzannavano, gole che ingoiavano, succhi gastrici che fermentavano. Passarono due ore e allo scoccare del centoventesimo minuto due Masai fecero il loro ingresso trasportando un enorme gong. L'uomo meraviglioso prese la mazza in mano e picchiò fortissimo. Poi, rivolgendosi ai commensali, battè le mani e tutti si alzarono dirigendosi, uno ad uno, alla cassa per saldare il conto. Anche per quest'anno il Pranzo di Natale, offerto dal Governo ai poveri, era concluso.
 

lunedì 20 dicembre 2010

Il plastico.

A seguito dell'ultimo evento sismico verificatosi due giorni prima, l'ingegnere, in forza alla Protezione Civile, decise di accettare l'invito a cena fattogli da Hansel e Gretel, un sabato sera a sua scelta, per discutere sull'opportunitò di rendere antisismica la loro casa di marzapane. Si mosse dalla poltrona, dalla quale stava ascoltando, senza audio, D'Alema ospite di Matrix, per sedersi alla scrivania dove era il telefono in bachelite. Alzò il ricevitore e compose, sul vecchio disco coi buchi, il primo numero della serie. Infilando l'indice in quello del 5 ruotò il disco ascoltandone con piacere, come sempre, il fruscio di ritorno. Poi fece gli altri. Rispose il proprietario del ristorante La Grande Muraglia, al quale ordinò un riso alla Cantonese e degli involtini Primavera. Dopo poco suonarono alla porta e un piccolo muso giallo gli consegnò quanto richiesto. Pagò il conto lasciando il resto di mancia. La porta si richiuse sull'inchino con " Glazie!" del garzone. Tornò verso la poltrona e si risedette davanti al televisore muto. C'era sempre D'Alema, muoveva la bocca e pareva un pesce in un acquario.  Aprì il contenitore del riso e con delle bacchette di legno, dono di una sua amica molto portata per un certo genere di giochetti orientali, cercò di raccoglierne alcuni chicchi. Non riuscendoci optò per una forchetta. Finito il riso, bevve un sorso dalla bottiglia di birra danese che era ai piedi della poltrona, fece un rutto compiacendosi dell'effetto sonoro, e passò agli involtini. Uno lo diede al gatto che ronfava accovacciato sulle sue pantofole, gli altri due li mangiò con un certo disgusto. Poi scolò la birra rimasta e si accese una sigaretta. Soffiando verso il soffitto anelli di fumo pensò che, forse, aveva fatto male a gettare, dopo averla fatta a pezzi con un machete, sua moglie nella grande stufa in ghisa che riscaldava la casa, qualche giorno prima. Va bene, era una rompipalle però cucinava discretamente. Le riuscivano splendidamente i dolci, in particolare la torta di mele di cui andava pazzo. Gli venne voglia di qualcosa di dolce. Si alzò ed andò in cucina. Nel frigorifero non ve n'era traccia. Ripiegò su alcune bustine di zucchero che aveva rubato dal bancone di un bar la sera prima. Ne aprì una, la portò alle labbra e lasciò scivolare i cristalli bianchi sulla lingua. " Ho fatto bene ad ammazzarla!" urlò " Ok..faceva un'ottima torta di mele ed anche un discreto tiramisù ma, a questo mondo, non servono i dolci, i dessert. Non serve lo zucchero, il miele. Servono portate pesanti, piene di cattiveria. Basta con la melassa!". Urlava così forte che il vicino, malato da tempo di diabete, si spaventò e chiamò la Polizia. Gli agenti cercarono di calmarlo ma lui reagì e dovettero arrestarlo. A seguito di perquisizione trovarono nella cantina alcuni resti umani incollati ad un tanga. Le analisi di laboratorio eseguite dal Ris di Parma evidenziarono che si trattava di pelle e peli appartenuti ad una donna e che i reperti risultavano intrisi di zuccheri. Quando il magistrato incaricato di interrogarlo gli chiese se aveva idea di chi ne fosse la proprietaria, lui disse di sì. Era sua moglie e confessò di averla uccisa, tagliata a pezzi e bruciata nella stufa. Misero a verbale e gli fecero controfirmare il foglio. Poi gli chiesero il perchè, cosa lo avesse spinto ad un tale efferato gesto. Lui rispose che lo avrebbe rivelato solo se ospitato da Bruno Vespa, a Porta a Porta. Il plastico dell'appartamento, dato che era ingegnere, lo avrebbe portato lui.  

mercoledì 15 dicembre 2010

Black Block.

    Da bambino quando, con la famiglia, all'inizio degli anni '60, si era trasferito a Roma aveva in testa una sola idea, fare il clown. Si era innamorato del Circo un anno prima, in una sera d'estate, assistendo ad uno spettacolo dei Togni. Gli piacque tutto. I domatori, gli acrobati, i giocolieri, gli animali ma quello che veramente lo rapì fu l'allegria sgangherata  di un gruppo di nani vestiti da pagliacci. Decise così che, un giorno non troppo lontano, sarebbe diventato uno di loro. Il fisico non l'aiutava, era alto quasi due metri ma, pensò, che se si fosse segato le gambe forse avrebbe potuto farcela. Un mese dopo suo padre lo sorprese con una sega in mano nel bagno e lo rimproverò di essere un pervertito vizioso. Lui non capì ma decise di abbandonare il sogno. La madre, una violinista dilettante monca, lo volle iscrivere al Conservatorio di Santa Cecilia ma lui la tradì e scambiò il Corso di Violino con quello del Timpano. Gli anni che seguirono videro un progressivo spopolamento del quartiere dove abitava, in particolare nel suo palazzo rimase solo la famiglia del portiere e quella del Rag. Uditori, marito, moglie e due figli, tutti sordomuti dalla nascita. Anche la Dolce Vita finì in quel periodo ma non è certo che esista una relazione tra quanto accadde e la sua pervicacia nell'esercitarsi. Il padre, esasperato e memore della  scoperta fatta nel bagno qualche tempo prima, gli regalò una sega elettrica circolare sperando che il figlio ne facesse buon uso. Non fu così. Il ragazzo ormai era completamente invasato da uno spirito percussivo degno di un capo tribù dell'Africa più nera e pestava sugli enormi tamburi in continuazione. Si diplomò due anni dopo, in anticipo. La direzione del Conservatorio decise di accorciare il suo corso per disperazione e, un attimo dopo avergli consegnato l'attestato con caldi ma  frettolosi complimenti per l'abnegazione dimostrata ed il livello raggiunto, gettarono i timpani da studio, dopo averli accuratamente distrutti, nella discarica Comunale. Due settimane dopo ricevette la cartolina di precetto per la Leva Militare. Lo destinarono in Marina. Lui fece domanda per entrare nella Banda della Marina Militare e la sua richiesta fu accolta. Il comandante del reparto, un colonnello che amava Nilla Pizzi, il giorno della prima prova gli chiese di fare una rullata. Lui partì e non riuscirono più a fermarlo. Ci vollero due cacciabombardieri decollati dalla portaerei ormeggiata al largo di Taranto per abbatterlo. Due giorni prima aveva avuto un frettoloso, rombante incontrò con una signorina che amava gli uomini in divisa. Da quei due minuti di vibranti effusioni nacque, nove mesi dopo, un fantolino dal carattere nervoso. La madre, in memoria del padre, volle chiamarlo Black. Quando crebbe, gli amici teppisti che frequentava, ci aggiunsero Block. Negli anni si specializzò nel rompere tutto quello che gli capitava a tiro. In particolare amava bruciare i cassonetti dell'immondizia. Oggi è un solerte funzionario dello Stato, impiegato presso il Ministero agli Interni, con delega allo smaltimento dei rifiuti.

domenica 12 dicembre 2010

Mondo difficile.

Gli piacevano talmente i gatti che decise di mangiarne uno. La crisi economica nella quale si dibatteva il Paese gli aveva portato via tutto. Il lavoro, la moglie, i figli, la casa, la macchina, persino la raccolta completa di Diabolik. Il pignoratore non aveva avuto pietà e solo per poca attenzione gli aveva lasciato l'intera collezione di Urania. Da allora erano trascorsi due mesi e lui ne aveva bruciato già più della metà nella stufa per riscaldarsi un po'. Senza quasi accorgersene era scivolato nell'indigenza più assoluta ed aveva ricevuto dal Governo l'attestato di " Nuovo Povero " su carta pergamena con, a margine, i complimenti del Ministro dell'Economia. Ne fu contento. In fondo, pensò, ancora qualcuno mi considera qualcosa. In attesa che venissero a buttarlo fuori di casa, aveva fabbricato alcune bombe carta utilizzando una ventina di volumi di una vecchia enciclopedia del Fai da Te ritrovata nella soffitta, dei chiodi arrugginiti, alcuni calzini bucati e della polvere da sparo recuperata da una scatola di munizioni lasciategli in eredità, insieme ad una Statua della Libertà che faceva il segno del dito medio alzato in pugno chiuso, da un suo zio anarchico, emigrato negli Stati Uniti negli anni trenta del secolo scorso, con l'idea di disunirli. Naturalmente non c'era riuscito. Alla fine aveva abbandonato il progetto a favore di una pizzeria che aveva aperto a Little Italy e che poco dopo era saltata in aria con lui dentro che impastava la pizza. Dello zio gli erano rimaste solo quelle due cose, più una foto ingiallita che lo ritraeva nel porto di New York mentre sbarcava da una motonave ripreso dal di dietro, con i calzoni abbassati ed il culo peloso nudo. Quando suonarono al campanello lui non se ne rese conto. Il giorno prima l'Azienda Elettrica aveva provveduto, senza avvisarlo, a staccare la corrente. Chi stava dall'altra parte dell'uscio ripetè l'operazione più volte non ottenendo risposta. Allora un inserviente dell'Ufficio Giudiziario che accompagnava l'Ufficiale alzò l'ascia che aveva con se ed iniziò a colpire con veemenza la porta. Lui era sul balcone che bagnava l'ultimo geranio rimasto con l'ultima goccia d'acqua che era uscita dal rubinetto e quando udì il trambusto si diresse verso l'entrata dell'appartamento. Appena pose la mano sulla maniglia la lama trapassò la porta e gli si conficcò diritta nel centro del cranio, aprendolo in due. La cosa buffa fu che il parrucchino di capelli finti rosso sbiadito che indossava si divise, anch'esso, in modo perfetto tra le due parti senza rovinarsi nemmeno un poco. L'ufficiale Giudiziario fece abbattere definitivamente la porta e lui finì schiacciato sotto. Il drappello di squali gli passò sopra senza nemmeno notarlo. Poi, visto che non c'era nessuno, se ne andarono mettendo i sigilli sul telaio. Un attimo prima di uscire, uno del gruppo, notò un gatto leggermente spelacchiato, avvolto in carta da forno, legato vicino alla stufa. Lo prese con se. L'animale fece le fusa pensando di essersela cavata. Purtroppo colui che l'aveva salvato aveva un contratto in scadenza di lì a pochi giorni e non gli sarebbe stato più rinnovato. Tra poco avrebbe perso il lavoro, la moglie, i figli, la casa, la macchina e persino l'intera raccolta di Novella 2000. Anche a lui piacevano molto i gatti.
  

venerdì 10 dicembre 2010

Stanze.

Nella stanza del mezzosogno i punti cardinali erano una ipotesi.
Andrea, cercando di orientarsi tra il niente e il tutto, decise di diventare infermiere. Scambiò la chitarra per una siringa e divenne un mago delle iniezioni.
Lucia mise da parte l'idea di attraversare un deserto ed aprì un negozio di sabbie colorate.
Giorgio rinunciò alla boxe, appese i guantoni ad un chiodo e nel farlo si pestò un dito pollice con il martello.
Massimo andò sulla collina, sotto il grande albero e si mise ad osservare le formiche.
Nella stanza della luna le sirene sono bellissime.
Paolo, in un ascensore fermo ad un passo dal cielo, chiamò le nuvole.
Ester, sorpresa nuda in un camerino di un grande magazzino, si dichiarò soddisfatta.
Ulderico volle cambiare nome. Fece domanda all'Ufficio Anagrafe ma gli dissero che gli altri nomi erano esauriti.
Penelope, un transessuale che era in fila dietro di lui, gli propose uno scambio. Ulderico non accettò perchè da sempre aveva paura dei ragni.
Nella stanza del sole le lampade abbronzanti risultavano spente.
Gianna strappò il suo bikini e si esibì in una sfrenata danza del ventre ma era così magra che nessuno se ne accorse.
Mario vendette l'ultima motosega ad un maniaco omicida che subito volle provarla su di lui. Dopo firmò un assegno intingendo una stilografica nel sangue. Pare che la Banca lo abbia rifiutato per "mancanza dei decimali ".
Antonio servì un bicchiere di Rossese ad una cliente che subito lo rovesciò su di una tendina. Nacque una rissa e, dopo poco, anche una russa. Piccola. La moglie non volle sentir ragioni e chiese il divorzio.
Nella stanza del mare c'è solo un cassetto.
Qualcuno, non ricordo chi, si fermò ad Emboli. Qualcun'altro lo vide e chiamò un'ambulanza.
L'autolettiga giunse veloce. Dalla sirena spiegata un pezzo di Little Tony, Cuore matto. L'ossigeno non servì a niente. Morirono tutti felici e contenti.





venerdì 3 dicembre 2010

Rivolta di massa.

 L'acchiappatore dell'acqua, mentre chiedeva al divino di restituire P.P.Pasolini e di prendersi B.Vespa, discuteva animatamente con Lisbeth Salander e Polifemo se contasse di più lanciare massi o files. " Oggi i ragazzi non sanno che fare, sono insicuri, spaventati e molti, spesso, sono ad un passo dallo sbagliare. Non ci si perde in un grande albergo, basta seguire le indicazioni e non cercare di spostare i corridoi." concluse l'omone dall'occhio solitario e se ne andò indossando l'ultimo modello di occhiale di Valentino con una sola lente oscurata. Lisbeth restò un attimo muta poi aprì il suo portatile e lanciò un video dove si vedeva lei che diceva: " Trova il tempo che lascia e se avesse meno tempo non saprebbe che farsene." L'acchiappatore, infilandosi l'acqua, che fin lì era riuscito a raccogliere, in una tasca del giaccone, disse:  " Che vuoi pretendere da uno che non può leggere. Speriamo che questa crisi porti ad una rivolta di massa e non ad una disperazione individualista." - " Lo stato di vampirismo mediatico in questo Paese è inaccettabile e i morti sul lavoro l'unica strategia appoggiata dal governo per creare nuova occupazione. " Liz questo sentenziò mentre con una mano richiudeva il palmare e con l'altra si pettinava i capelli. L'oste urlò: " Ora basta! Si chiude. " e mostrò il conto. Polifemo aveva scolato tre Ceres e se ne era andato senza pagare. Lisbeth un te verde alla menta. L'acchiappatore centoventi litri d'acqua che aveva disperso sul pavimento cercando di travasarli nelle tasche. I due prima fissarono sorridendo l'uomo con il conto in mano, poi dissero all'unisono: " Happyness is real when is shared." Un attimo dopo erano scomparsi.

La vita va.

Quando lei se ne andò disse: " Amore..aiutami..non farmi male..non farmi soffrire."
 Lui, stringendola a se, la baciò credendo di arrestarne il volo.
Si sbagliava.
Poi s'infilò la giacca ed uscì.
Prese la bicicletta e pedalando all'indietro giunse al mare.
- Felicità? Ci si arriva a nuoto. - pensò.-
E' difficile resistere al mercato. La vita va. - concluse.
Mentiva.

giovedì 2 dicembre 2010

Qualcuno.

 " Guardo fuori ma non vedo niente. Sarà perchè le persiane sono chiuse? " si domandava. Seduto sull'ultima delle quattro sedie che possedeva  e non aveva ancora bruciato nel vecchio camino, con un bouquet di viole in mano, aspettava. Qualcuno. Quando il campanello trillò fece un sobbalzo. Alzandosi per andare ad aprire la porta sperò che un cuore sarebbe entrato prima delle parole. Percorrendo il corridoio si guardava intorno senza riuscire a riconoscere nulla di quello che vedeva. Il pavimento di ardesia era parzialmente coperto da una passatoia rossa con passamaneria oro ma lui non la calpestò. Lentamente camminava sulla parte scoperta. Sentiva freddo ai piedi e si accorse che erano nudi. Piegò all'insù le dita un paio di volte per riscaldarle, poi diede un calcio deciso ad un vaso cinese post rivoluzione per provarne la resistenza. L'alluce affondò proprio nel centro del viso di Mao, i cocci, insanguinati, volarono in aria portandosi via il braccio alzato ed il Libretto Rosso. " Bei tempi." pensò. Giunto davanti all'ingresso liberò i tre catenacci che proteggevano l'appartamento. Mentre, una ad una, manovrava le serrature si chiese a che servissero visto che dentro non c'era nulla che valesse la pena di essere rubato. Decise che il giorno dopo avrebbe chiamato un fabbro per toglierle e posizionò il mazzetto di fiori davanti al naso. Aprì ma sull'uscio non vide nessuno, menchemeno colei che attendeva credendo di amarla. Udì una voce: " Telegramma! Signore. ". Abbassando lo sguardo si accorse di un nano vestito da fattorino che agitava un foglio giallo con una mano. Con l'altra si grattava il culo ma non lo ritenne offensivo. Firmò la ricevuta, richiuse e tornò a sedersi.
 " Guardo fuori ma non vedo niente. Sarà perchè le persiane sono chiuse? "

martedì 30 novembre 2010

Edoarda.

  La piccola grande donna venuta da una terra grassa cucinava cosce di pollo e risate. Tra i tavoli all'aperto, che avevano già conosciuto le fette di pane e salame di Ottavio, volteggiava. Colorata e leggera. Le notti d'estate, rischiarate dal lume delle candele, parevano più fresche tra quelle macerie indimenticate. Stellate infinite tuffate nei bicchieri di vino di sognatori che, già ebbri di canzoni strappate al silenzio, sostenevano un mondo, il mondo di Dudù. Lei che un giorno aveva scambiato una pensione nel centro per una pergola sotto la luna rideva come solo sanno ridere le persone che amano la vita. Quel giorno fece un viaggio breve che la portò lontano, sino ad una spiaggia dorata dove i suoi capelli rossi spiccavano ancor di più. Il mondo di Dudù, estetica e sogno. Frittelle e abbracci. Avventura e samba. Voglio ricordarti così, immortalarti mentre sorridi a chi ti porta via una piccola cosa senza toglierti niente. Dudù e il tuo tempo. Alla stazione c'era un bel sole e tanti altri mondi possibili. Dudù hai fatto il biglietto e scalza sei andata, restando ferma mentre il mondo va.

lunedì 29 novembre 2010

Stella cadente.

Quella mattina si sentiva piuttosto zen e con un'ascia in mano decise di abbattere una palma nel giardino. All'alba aveva preso un caffè, in un bar del porto, che era una bomba. Tornando verso casa si domandava se il barista, in realtà, non fosse un kamikaze. La sera precedente stava lì, sul terrazzo, al buio, cercando di vedere una stella cadente, inutilmente. Poi andò un attimo in bagno e si vide allo specchio. " OK " si disse " mi sono lasciato andare. Troppi yogourt, tisane, letture importanti, poca televisione, bicicletta, niente fumo, acqua a fiumi. Da oggi si torna ad una vita più sana: Gazzetta dello Sport e fiasco di vino." Prese il telecomando e lo puntò verso lo schermo al plasma 64 pollici che troneggiava nel tinello, che, stranamente, non era marron come quello della canzone di Paolo Conte, e lo accese su Rai Storia. Davano una replica della diretta di un allunaggio di molti anni prima. Un uomo, vestito da un prozio di Dolce e Gabbana, passeggiava sulla luna cercando di ricordare se aveva chiuso il gas prima di uscire di casa. L'astronauta travolto dal dubbio tentava di comunicare col campo base ma le sue parole giungevano spezzettate e nessuno dei presenti a Cape Canavaral riusciva a capirlo. Allora chiamarono sua nonna, alla quale bastò un'occhiata per capire che suo nipote, nonostante stesse sulla luna, era sempre il solito idiota. Salutandolo senza nessuna commozione gli confermò che si, aveva dimenticato il rubinetto del gas aperto, la casa era saltata per aria, tutto era andato distrutto escluso gli amati nanetti di gesso che erano miracolosamente salvi. Dopo avergli raccomandato di indossare sempre la maglia della salute, la vecchia se ne andò brontolando e sputando. Il cronista che seguiva la vicenda non seppe che dire, fece un segnale alla regia e la pubblicità partì. Lui fece click e la TV si spense. " Quello che nella vita realmente serve è un tetto solido sopra le testa e un pavimento di burro sotto ai piedi." Così pensando tornò in bagno e si sedette sulla tazza. Poco dopo si accorse di aver finito la carta igienica.

mercoledì 24 novembre 2010

La telefonata.

Ascolto la telefonata mentre raccolgo la pioggia con il colapasta. Resto immobile. Rivedo il terribile ghigno, l'inossidabile sorriso dei suoi sessantaquattro denti sovrapposti. Chi parla è il re degli squali in caduta libera, si dibatte stretto tra mafie e derby. Ormai anche i barboni lo guardano, maledicendolo lo aspettano preparandogli i cartoni. Lui nel parco da sempre ci abita ma gli alberi più gli appartengono. I borghesi seduti in seconda fila si baciano per non vedere. Le ricche vedove lo giudicano un ladro ma ancora fine gentleman. Attacca lanciando sassi, farnetica, la vita sua è essere simbolo di tenebre abbellite da perline e lustrini. Nelle vene ha sangue destinato a seccare. Si affiderà a medici compiacenti impotenti davanti all'immininente disfacimento. Un servo comporrà per lui l'ultimo canto, mentendo. Ci vorrebbe un poeta del male per spedire una cartolina ben scritta di saluti. Lui ha Bondi e Pato. Il primo non sa scrivere, il secondo sa palleggiare ma non con il destino. Scivolando nel fango gelido manderà baci lanciando gli ultimi diamanti alle Ruby di tutto il mondo che vedrà restringersi contro le stelle. Infine, finalmente, sparirà inghiottito da un buco nero grande come uno spot. Dio non lo guarderà stanco com'è delle sue stupide barzellette. Lontano, una melodia francese farà da tappeto musicale al suo addio.
Ascolto la telefonata mentre raccolgo la pioggia con il colapasta.

martedì 23 novembre 2010

Senza stivali.

  Il gatto rientrò a casa senza gli stivali. La notte era volata via discutendo con Robin Hood sulla utilità di togliere ai ricchi per dare ai poveri. Quello che lo disturbava era il fatto che, una volta rapinati, i primi sarebbero diventati poveri ed i secondi ricchi. Si sarebbe dovuto quindi ritogliere ai secondi per restituire ai primi e così via all'infinito. Inoltre, in tutto questo giro di giostra, alla fine, tutti sarebbero caduti a terra senza capirci più niente. Poi si era accorto che, mentre esponeva animatamente le sue idee, Robin Hood non lo ascoltava affatto preso com'era dagli occhi di Biancaneve. Decise allora di lasciar perdere quell'idiota in calzamaglia verde e chiamò a se i sette nani per parlare con loro in merito alle qualità fisiche e morali della pallida ragazza. Questi si presentarono in sei, Pisolo non ne voleva sapere di svegliarsi, e non se ne fece nulla. Leggermente disturbato da tanta anarchia, che mai avrebbe pensato potesse far parte del mondo delle favole, si sedette ad un tavolo a forma di fungo con il Cappellaio Matto ma questi non faceva altro che caricare un orologio a forma di coniglio e non era minimamente interessato alla politica. Sconsolato si alzò e si diresse verso casa. Sulla via incontrò Don Chisciotte che, stanco di lottare contro mulini a vento e dopo aver licenziato Sancho Panza senza avergli pagato nemmeno i contributi ed aver macellato Ronzinante, gli comunicava che lasciava questo mondo per trasferirsi alle Maldive con Cenerentola dove intendevano aprire un negozio di scarpe o, in alternativa, un porno-shop. Restò basito, senza più parole. Salutò comunque cordialmente il Cavaliere che si era venduto il cavallo per favorire i capricci di una serva ed, accorgendosi che il Don era sfornito di scarpe, gli regalò i suoi stivali per toglierselo rapidamente dai coglioni.
Così rientrò a casa a zampe nude. Appena dentro tirò fuori dalla tasca il cellulare e chiamò l'Agenzia di Viaggi di Alice  e le confermò che avrebbe portato solo un piccolo bagaglio a mano nel Paese delle Meraviglie.

sabato 20 novembre 2010

Punti fedeltà.

Ricordi il tempo in cui vivevi come fosse sempre estate? Bottiglie di vini pregiati rubate nei ristoranti, scritte rumorose lasciate con rossetto rosso fuoco sugli specchi, notti randagie, libera da ogni guinzaglio, in cerca di anatomie esaltanti. I tacchi a spillo sempre conficcati negli occhi del mondo. Non chiedevi mai l'ora e non possedevi orologi. La musica era il tuo tempo, il tuo silenzio, la tua pace. Il sesso un sasso da scagliare con forza nel cuore di qualcuno. Tanta bellezza, nessuna paura. Tendevi all'infinito disegnando un mondo di architetture ricche.
Ricordi? Così per sempre vivere, dicevi. Portavi sulla bocca parole leggere ed in centro la tua pelle. Le tue scollature ferivano mortalmente, i tuoi denti scintillavano furore. Ora spingi un carrello sempre troppo pieno nei supermercati in cerca di offerte promozionali, apparecchi la tavola allineando perfettamente le posate, voti a sinistra con la mano destra. La sera entri nel letto in modo ordinato e al mattino ti svegli senza aver stropicciato le lenzuola. Che fine hai fatto Mademoiselle baciatemi e scordatemi? Oggi è domenica e conterai i punti fedeltà. Ne mancheranno solo un milione per vincere un pezzetto bello tondo di cielo d'estate.  

venerdì 19 novembre 2010

Seicento secondi.

Da dieci minuti è passata la mezzanotte. Da dieci minuti un nuovo giorno è cominciato. Dieci minuti fa era un po' più giovane. Ora è un po' più vecchio: dieci minuti in più. Seicento secondi, seicento battiti. Contati uno ad uno, con attenzione, con timore. La luna è uno straccio bianco appeso al vetro, un alone, una macchia nel cielo. La polvere è lì, sul vassoio d'argento. In attesa. Non ci resterà molto. Bianca come la pelle di questa notte, come la neve dell'altro ieri. Scendeva copiosa, fiocchi soffici, quasi caldi. Un mistero per un posto adagiato sul mare. Nel mese di agosto, i bagnanti vocianti con doposci ai piedi. Poi tutto è tornato normale. La spiaggia dorata, i pattini nell'acqua salata, le ragazze in bikini. Ombrelloni, sdraio, lettini, creme, secchielli, palette, bambini, bagnini e il vecchio juke-box che tanto ha fatto sognare.
Seicento secondi, seicento battiti. E' tempo di spolverare.  

giovedì 18 novembre 2010

Mare immobile.

Dalla finestra guarda un mare immobile. Una striscia blu sopra a tetti rossi. Un graffio nel cielo, un Campari Soda, una fantasia. Ha già fatto le valigie ma rimane ad aspettare. Si è messo in lista. Pensa a quello che non aveva mai pensato. Immagina cose mai immaginate. Mille modi di odiare, di amare. Nella testa ha tutta la musica che ha accompagnato i suoi sogni. In una mano le chiavi dell'appartamento dove si è perduto, nell'altra una sigaretta spenta. Non avrebbe mai voluto farle del male ma le conficcò lo stesso una lama nel cuore. Non avrebbe mai dovuto farle del male ma le spaccò lo stesso il cuore. Poi si amputò il dito medio della mano sinistra e lo mangiò. Poi telefonò ed aprì la porta. Quando arrivarono annunciati da una sirena spiegata, lo trovarono alla finestra. In silenzio guardava un mare immobile, una striscia blu sopra a tetti rossi.  

martedì 16 novembre 2010

Cartolina.

Nel cielo c'è un buco, nel buco nemmeno una stella. Ferma davanti alla cassetta della posta con una cartolina in mano non ricorda più quello che deve fare. Soffici fiocchi di neve cadono da un tetto di panna imbiancandole il cappotto blu. Da mezz'ora si ritrova persa in un canto perfetto da cantare in silenzio. Ne conosce ogni sfumatura, ogni nota. Una canzone meravigliosa che sempre le dedicava, ma di lui non riesce più a ricordare la voce. Di lui ha solo una immagine muta con la gola tesa. Eppure cantava, solo poco tempo fa. Sorrideva del suo sorriso col quale andava incontro alle occasioni. Questo lo ricorda bene. Ma la voce, la sua voce, com'era? Le labbra erano ben disegnate, turgide, calde, affamate d'avventura. Da quel paradiso uscivano gli angeli quando parlava, dolcemente, con parole che avvolgevano, accarezzavano, baciavano. Ancora si emoziona nel rivederle esplodere illuminate dal bianco scintillante dei denti. Ma la voce, la voce, com'era? Per anni ha potuto udirla, goderne ed ora niente, perduta, svanita e le sembra impossibile, terribile. Lì, davanti alla cassetta rossa della posta, con una cartolina d'auguri in mano, da imbucare. Ma certo, che stupida: " Tanti Auguri!!" Buon Natale!".  

lunedì 15 novembre 2010

Inverno.

Il chimico posteggiò la cinquecento L, spense il motore, aprì la portiera e scese. Camminando lungo il bordo della strada giunse ad una fermata del filobus dove decise di fermarsi ad aspettare l'inverno.
Il vegetariano sovrappeso si guardò nudo allo specchio e si vide troppo grasso. Poco dopo, con abiti da jogging, correva lungo il bordo della medesima strada. Arrancando raggiunse la pensilina della fermata del filobus, vi si appoggiò ansando e decise di fermarsi ad aspettare l'inverno.
Il geometra volò da casa all'areoporto a bordo della sua decapotabile ascoltando musica rock. Senza bagaglio si diresse al check-in, regolò le pratiche d'imbarco e si avviò verso il Gate 3 dove l'attendeva un Boeing 747 per Cuba. Passando davanti ad un bar dell'aereostazione decise di sedersi ad un tavolino per bere un drink. Ordinò un Cuba Libre e si sedette. Guardando attraverso la grande vetrata che dava sulla pista di decollo vide l'aereo che aspettava. Sorrise stringendo il bicchiere raffreddato dai cubetti di ghiaccio, poi lo avvicinò alle labbra, ne assaporò il contenuto e si addormentò sognando di aspettare l'inverno.
Il batterista gettò nella discarica il suo strumento ed una bacchetta, l'altra la tenne per ricordo. A causa di un enorme buco nella memoria decise di smettere con la musica. Tornato a casa, lisciò il pelo al gatto e si distese sul divano. Con gli occhi aperti fissi al soffitto pensò ai suoi due figli ormai grandi e li vide correre nel sole dell'estate. Si dissse soddisfatto per come aveva contribuito a crescerli, chiuse gli occhi ed aspettò l'inverno.
L'albergatore comparve dietro la porta dell'ascensore che si apriva sulla hall ormai vuota. Da tempo l'albergo era chiuso e l'unico cliente era il suo grosso cane che sonnecchiava sdraiato su di un tappeto persiano proprio nel mezzo della sala. Un grande peluche di Snoopy, dal banco ricevimento, lo fissava. Attraversò la hall sbirciando il cane che non scodinzolò e,  ignorando l'amico di Charlie Brown, aprì la porta ed uscì sul lungomare. Il mare era mosso, si udiva il violento frangersi delle onde. Attraversò la strada e mise i piedi nudi sulla sabbia. Lentamente, passo dopo passo, si avvicinò alla battigia. Quando le dita toccarono l'acqua si lasciò cadere e trasportare dalla corrente. Galleggiando con gli occhi rivolti al cielo andò incontro all'inverno.
Lo scrittore pensò a loro ed ad altri avvolto dalle volute blu dell'ultima sigaretta di una notte piena di fumo. A loro dedicò i suoi pensieri e un gesto della mano. Poi spense la luce ed andò a dormire. Era inverno ma non se ne accorse.

domenica 14 novembre 2010

L'equilibrista.

   Si poteva pensare che fossi pazzo. Solo, sballottato dalle onde, coperto di sale. Non era così. Lui era un equilibrista. Uno abituato a camminare sospeso su di un filo d'acciaio teso tra due infiniti. Passo dopo passo, lentamente oscillando avanzava. Guardando avanti, senza mai abbassare lo sguardo, gli occhi fissi puntati su Dio. Figlio di un cane e di una gatta siamese aveva imparato presto a danzare sul filo cominciando da piccole altezze fino a giungere a quelle incredibili. Era salito talmente in alto che nessuno quasi riusciva più a vederlo, ormai passeggiava tra le nuvole, nell'immenso blu. Se qualcuno gli avesse chiesto "..perchè?..", lui avrebbe detto "..perchè no!..". A chi gli avesse domandato " ..cosa cerchi?" avrebbe risposto ".. quello che non ho!..". Nel cielo, dove viveva, l'aria era leggera e i sogni possibili. Quando ci arrivò la prima volta tanto gli piacque che decise di mai più tornare, di restare lassù, sospeso per sempre. E' ancora là. Nelle notti calde d'estate, se guardi dove finiscono le stelle, lo puoi vedere. Non ti cambierà la vita, non ti insegnerà niente, semplicemente ti fermerai a guardarlo, per ore ed ore fino a perderne il conto. Ti meraviglierai di quanto il tempo sia solo una convenzione.
A me è successo così. Ero solo, sballottato dalle onde, coperto di sale. Stremato stavo per affogare poi tutto si è fermato ed oggi sono qui a guardarlo passeggiare. Non so se sia stato lui, l'equilibrista, a salvarmi, ma mi piace pensarlo.
Si, potete pensare che io sia pazzo. Non è così.

giovedì 11 novembre 2010

Giovanna.

Giovanna seduta sulla riva con i piedi nell'acqua osservava le foglie trascinate dalla corrente del fiume. La sera prima era stata appassionata telespettatrice di uno show dove un guitto fantastico aveva dato il meglio di se ed altri avevano detto cose belle e tristi. Ora, sul fiume, con accanto, appena letto e ben ripiegato, il quotidiano di orientamento moderato progressista acquistato, come ogni mattina, all'edicola del paese sul quale, nella rubrica degli spettacoli, una pagina intera era dedicata al tanto atteso avvenimento e i quattro articoli in essa contenuti erano pieni di elogi per gli autori che l'avevano ideata e gli ospiti che l'avevano animata. Poi c'erano le pernacchie ridondanti, le critiche feroci per chi se le era meritate, tanti "resto perchè.." e altrettanti "vado via perchè.." ed un intervista al cantautore che aveva composto la canzone che dava il titolo alla trasmissione. In cucina, appena sveglia e con la moka sul fuoco, aveva dato una sbirciata alla sua home di Facebook dove gli amici, molti sconosciuti, si sbizzarrivano nel rispondere nei modi più diversi ai "vado.." e ai "resto..". Nessuno le pareva sincero, originale. Quelle piccole frasi somigliavano più che altro ad una specie di gioco di società, anche un po vecchiotto, comprato nel banco delle offerte a saldo in un grande magazzino. Giovanna restava seduta sulla riva con i piedi nell'acqua fresca e il sole caldo, che oggi Dio le aveva regalato, sul viso. Con occhi luminosi ed attenti seguiva la corsa delle foglie colorate d'autunno domandandosi la bellezza cosa fosse, cos'è. Non era una domanda nuova, spesso si ritrovava a porsela ed ogni volta le risposte che si dava non la convincevano pienamente, le lasciavano dubbi e la porta aperta a mille possibilità. Pensava a Pasolini, il poeta e scrittore ucciso in una notte buia in un campetto da calcio della periferia di Roma, cercando di immaginare quello che lui avrebbe scritto o detto se fosse stato ancora in vita. Probabilmente niente perchè lui aveva già detto, previsto tutto molto prima. Forse, intervistato, si sarebbe limitato a sorridere. Oppure avrebbe pianto lasciando scorrere le lacrime sul viso scavato.
Giovanna, seduta sulla riva con i piedi nell'acqua e il sole negli occhi, osservava le foglie trascinate dalla corrente del fiume.                                                                                  

martedì 9 novembre 2010

Marchionne.

Ho sognato Marchionne. Vestiva una tuta blu consunta e sporca da meccanico. Avvolto dalla nebbia di Mirafiori aspettava che i cancelli si aprissero. Nella tasca sinistra aveva un panino con mortadella scaduta, in quella destra una bottiglia di spuma chiara sgasata. Era tutto quello che poteva permettersi a causa del misero stipendio da manager che percepiva. Al di là dei cancelli lo aspettava un operaio squalificato addetto alla catena di montaggio della mitica Duna che nel tempo era diventata un " must " dell'Azienda di Produzione di Automobili nota come FIAT senza LUX a cui aveva giurato fedeltà per l'eternità. Il metalmeccanico indossava uno splendido completo grigio in frescodilana taglio Caraceni abbellito da una pochette color amaranto e calzettoni originali mai lavati usati da Gigi Meroni e, stranamente, somigliava a Carlos Monzon. Quando la sirena suonò, anzi, per la precisione, intonò Funicolì Funicolà e i cancelli si aprirono, un gruppo folk in costume da Pulcinella gli si fece incontro danzando ed invocando Maradona e San Gennaro. Dietro, come in processione, una fila interminabile di giovani operaie bellissime coperte solo da gocce di Chanel n°5 e cassaintegrati che parean modelli usciti dalle pagine patinate di VOGUE ebbri di Champagne. Marchionne non riuscì a muovere un solo passo, rimase immobile, impietrito mentre il festante corteo lo superava senza nemmeno vederlo. Quando anche l'ultimo cassaintegrato scomparve all'interno di una gigantesca Panda 30 adibita a discoteca, si mosse verso l'ingresso dell'amata Azienda. Appena varcato il cancello Monzon alzò un dito intimandogli l'Alt. Marchionne spaventato gli offrì il suo panino con mortadella ed il metalmeccanico ne fece un sol boccone. Poi gli morse e mangiò la mano ingoiandola in un attimo, dopo gli triturò l'intero braccio ed infine gli staccò un orecchio sputandolo subito a terra. Marchionne urlava disperato ma lì non c'era più nessuno, tutti si erano trasferiti in Serbia. Dopo qualche ora giunse una delegazione di operai di colore incazzati venuti appositamente da Detroit per fare con lui quattro chiacchiere ma non erano ne neri, ne gialli, ne bianchi. Erano verdi dalla rabbia, tutti superdotati e gli fecero il culo. Quando ebbero finito si diressero verso il centro della città per farsi qualche birra da vomitare nell'androne della Sede della Juventus. Lui da terra, stravolto forse anche dal piacere, ebbe una visione: Del Piero con l'aureola sulla testa e l'uccellino sulla spalla sinistra. Tese la mano rimasta verso il Santo ma questo non si offerse e l'uccellino gli fece " plin plin " sugli occhiali.
Qui finì il sogno e, come si dice, tutto bene quel che finisce bene.                                                      

lunedì 8 novembre 2010

La locomotiva.

La stanza ha pareti bianche un poco scrostate e luci al neon che illuminano bene tutto il suo squallore. Due sedie malconcie, un tavolo troppo basso con sopra riviste dalle pagine ingiallite, una panca. Seduto su quest’ultima c’è, in mezzo ad altri due, il mio culo. Il primo appartiene ad un signore barbuto, alto, grosso, sui settanta. Parla con la erre moscia ed un forte accento emiliano. Dice di essere stato un cantastorie, anche di successo, ma ora è una locomotiva. Il secondo si agita continuamente, si dichiara insegnante di lettere, storia, filosofia, latino, greco. Sbraita di essere stato ingiustamente sospeso dall’insegnamento da un preside fascista di un liceo classico in Samarcanda. Io ascolto, le mani sulle ginocchia, lo sguardo fisso sul muro dal quale penzola, appesa ad un chiodo malfermo, una riproduzione di un famoso dipinto di Chagall e credo di essere matto.Sull’altra parete c’è un orologio grande, di plastica color rosso con il quadrante bianco e le lancette nere. Segna le nove e quindici. Sono le nove e quindici di una mattina già troppo calda. Oggi è il dieci agosto. Indosso un paio di pantaloni di cotone bianco ed una maglietta blu. Ai piedi un paio di zoccoli tipoinfermiere. Il mio orologio da polso, un vecchio Zenith, con carica manuale, placcato oro, regalo di uno zio nel giorno della prima comunione, fa la stessa ora dell’orologio appeso al muro. Quindi, a meno che entrambi non mentano, sono effettivamente le nove e quindici di un fottuto, afoso, mattino d’agosto.
“Sai che essere una locomotiva, in fondo, non è poi male per un uomo. Ti da un senso di onnipotenza e poi si viaggia. Si va, si torna, belli, precisi. Su bei binari lucenti, scintillanti. Insomma una gran bella, sana, vita!” – Il professore filosofeggiava e l’emiliano locomotore sbuffava. Poi commise un errore, si addentrò in un eloquio sulla modernità, su quanto fascinoso fosse rullare su binari sospinti dalla forza motrice generata dalla corrente ad alta tensione, sulle nuove frontiere dell’alta velocità e via discorrendo. Si udì una voce cavernosa, leggermente alterata, che riempì il vuoto della stanza. “ Io sono una locomotiva alimentata a carbone…Stronzo!” Sullo stronzo, due mani grandi come badili, a forma di tenaglia, si strinsero al collo del piccolo professore di Samarcanda. Ci vollero quattro energumeni vestiti di bianco per liberarlo da quel simpatico abbraccio.

sabato 6 novembre 2010

Walter.

     Walter ruppe un uovo su di una parete e ne guardò il contenuto scivolare lentamente. Decise poi di scrivere un Giallo,  prese dal tavolo una matita gialla e cominciò a scrivere. Non gli piacque. Allora si slacciò le scarpe, le sfilò liberando i piedi. Stirando le dodici dita, ne aveva due in più ma mai se n'era fatto vanto, si domandò dove stesse sbagliando e perchè sbadigliasse nel mentre si rispondeva che no, non era in difetto ma solo infetto. Nel medesimo istante un insetto peloso saliva rapido lungo una gamba della bambola di pezza seduta sulla poltrona in fintapelle che si trovava di fronte a lui. Gli parve che la bambola si agitasse come percorsa da un brivido o da un sentore di solletico. Walter si alzò e si mosse ma non si spostò. L'insetto sparì sotto la gonna di tulle rosa e non se ne seppe più nulla. Suonarono alla porta. Nel medesimo istante il telefono squillò e la segreteria telefonica partì. " Chi è? " - " Amici!..Ma anche nemici." - " Piuttosto ambiguo." rispose. " Si dice in giro che sei solo un bastardo..Lo sai? Pare che dormi nei letti di tutti senza dormire mai."
Poi solo silenzio. Anche la segreteria smise di frusciare. Walter pigiò il pulsante e tese le orecchie. Le tese così tanto che si raddoppiarono in grandezza ma non udì nulla. Si disse che qualcuno probabilmente malediva la sua diversità. Forse non a tutti piaceva la sua abitudine di masticare lucertole e, osservando Dio, si inventò la felicità.

mercoledì 3 novembre 2010

Disteso sull'erba.

Disteso sull'erba, all'ombra di un tiglio, aspettavo una Primavera. Venne, seguita a ruota da un motorino con in sella un ragazzino che mi guardava con sospetto. Dissi " Ciao.." e tutto cominciò. Montando su quella Vespa condotta da un sogno lo osservai. Magro, capelli ricci leggermente scapigliati, con gli occhi infuocati di chi sa che qualcun'altro, venuto da Marte, gli ruberà il suo di sogno. Guidava il Benelli tre marce con la distrazione dell'innamorato e la furia di uno scienziato. Oggi è un umanista e forse furono quelle stradine di campagna, quelle curve scivolose, quelle salite e discese percorse anche di notte sotto milioni di stelle durante quella fiabesca estate a farlo derapare verso lidi frequentati da poeti e scrittori. Procedevamo spediti, circondati da odorosi prati, sulla tortuosa salita che portava alla Canonica. La mia autista era provetta e spericolata motociclista figlia di un motociclista, lui restava in scia cercando di non sbagliare nello scalare le marce. Arrivammo ridendo felici e la Primavera si spense. Scendendo mi voltai e lo vidi sgommare sgasando via. Lo salutai con la mano ma lui non se ne accorse, era già lontano. La sera dopo lo rividi e conobbi il suo nome. Giocammo a bocce, ma questa è un'altra storia.

martedì 2 novembre 2010

Jesus.

  Si definiva anarchico, forse più per amore di un nonno che per pura convinzione, e in una ormai lontana estate scarrozzò sulla sua auto di plastica decapottabile uno Jesus qualsiasi. In continua lotta tra una libertà presunta di pensiero e la prigionia reale del portamonete si mostrava agli altri pensando a se stesso. Così facendo divenne quasi un mito nel luogo in cui viveva, riconosciuto da tutti, quasi una fusione tra Sacco e Vanzetti o un figlio di un figlio di Zola. Partecipava ad ogni iniziativa politica di area ultra sinistra con distaccato accanimento. Sempre in prima fila ad assistere a Consigli Comunali sinistri, riconoscibile per la chioma scapigliata, l'abbigliamento trasandato, la bassa statura e quell'espressione attenta e leggermente sardonica di chi pensa di essere un candelotto di dinamite bello pronto a saltare per aria. Nei bar di paese beveva con tutti quelli che offrivano dandogli pacche sulle spalle, un po meno con altri meno espansivi e generosi. Fumava molto, come si conviene ad ogni bombarolo che si rispetti, ma se gli chiedevi una sigaretta te la offriva come se fosse l'ultima necessaria ad accendere la miccia. Figlio di un inventore nonchè accanito cercatore di funghi e di una inossidabile giocatrice di Ramino era giunto intorno ai vent'anni indossando completi in Principe di Galles forse sognando i dandies di Londra. Corteggiava le donne ma queste non se ne accorgevano. Così, come quasi sempre succede, gli insuccessi amorosi lo  spinsero a rivedere le sue idee e nel suo bozzolo scelse di non tramutarsi in un baco da seta bensì in una farfalla. Quando ne uscì, munito di borsello, si vide nello specchietto retrovisore di una Lambretta e si piacque parecchio. Quelli che seguirono furono anni di frenetico sfarfallio, un po per tutti e, quindi, anche per lui. Spesi tra tavoli di osterie apparecchiati con tovaglie intrise di propositi di rivoluzione, in fumose serate di musica rock o jazz ma con un occhio sempre rivolto alla squinzia di turno, a cui cercava di inculcare l'ideale anrchico fatto di piena libertà d'azione, di elasticità mentale ed, in ultimo ma non per ultimo, di completa apertura di gambe. Alla fine restava solo, le gambe rimanevano fermamente chiuse, sul tavolo un bicchiere di rosso, dal mangianastri una canzone dei Nomadi. Oggi non so se si professi ancora anarchico, se fumi ancora sigarette francesi, se viva ancora di sogni. Qualche volta lo vedo passare su una moto giapponese o scendere da una monovolume. Abbigliamento ordinato, capelli dal taglio curato, con in tasca un IPod al posto della dinamite. In una lontana, calda estate scarrozzò sulla sua auto di plastica uno Jesus qualsiasi: chissà che fine ha fatto.                                                                                  

Batman

 Da tre mesi sono ospite in una pensione nel quartiere del porto.Nella stanza vicino alla mia vive da due anni un transessuale che batte sui controviali intorno alla stazione e, una notte sì e l’altra anche, torna pesto, ma lui dice che in fondo non gli dispiace perchè è nato a Genova. Humor tipicamente anglosassone e si sa che i genovesi adorano l’Inghilterra. Si chiama Antonio, ha la barba, ma per tutti è  la Roberta. Ogni volta che mi incontra, sorride e mi chiama amore. Io lo mando regolarmente a fanculo e lui risponde che, pur non sapendolo, sono un buongustaio e se ne va sculettando, emettendo una serie di sospirati gridolini, inseguita da un secondo fanculo condito da un troia. Nella stanza  dirimpetto al cacatoio, abitava, da non so quanto tempo, un vecchio che, si dice, avesse lavorato come nano, anche se era alto circa un metro e ottanta, al circo di Darix Togni.
Si chiamava Andrea, ma per tutti era Batman, non perchè facesse numeri acrobatici, ma a causa del tremore che gli procurava   il morbo di Parkinson, che lo aveva colpito e gli faceva battere le mani. Circa un mese fa gli regalai delle bacchette da  batterista che avevo rubato in un bar dove suonavano spesso del jazz e lui si trasformò, dotato di temperamento artistico com’era, in un novello Max Roach, fracassando tutto ciò che trovava sulla sua strada. Batman era davvero incredibile. Un  giorno qualcuno gli disse che, con un nome simile, avrebbe sicuramente potuto volare e lui si gettò dalla finestra del terzo piano, agitando le bacchette e, dopo avere sfondato la tettoia in plexiglass della lavanderia a gettoni sottostante, andò in mille pezzi. Si dice, che le mani intrise di Parkinson, come la coda mozza di una lucertola, continuarono a  muoversi, per qualche minuto, suonando un ritmo in levare.

lunedì 1 novembre 2010

Pensiero stupendo.

   In un altro mondo, prigioniero. Mi accarezzo dentro. Stendo al sole la mia mente e progetto il mio passato. Forse è un sogno oppure no. Al collo ho un collare incatenato ad una catena di diamanti e l'altro capo è tra i denti scintillanti di una scimmia. Procediamo lentamente insieme attraverso l'universo. Al mio fianco destro un buffone suona una fisarmonica sibilando una litania che incita a non desistere. Alla mia sinistra una folla di nani altissimi, infinita, assiste in silenzio. Inciampo, cado. La scimmia si ferma, si volta, mi guarda con occhi di ghiaccio da puttana consumata e, ghignando, da uno strappo alla catena. Il collare mi graffia il collo, sanguino. Il buffone aumenta l'intensità del canto, la folla improvvisamente applaude eccitata. Mi rialzo, riprendo il cammino. Cerco di capire dove sono diretto e perchè. Alzo gli occhi al cielo e il cielo non c'è. Niente sole, ne luna, ne stelle. Non è giorno e nemmeno notte. Sotto i miei piedi scalzi la strada è bianca, fatta di sale. Cammino da ore ma ora che ci penso mi accorgo che sono sempre allo stesso punto, praticamente fermo. Fermo e nudo. Non sento freddo ne caldo. Nessun dolore. Niente. In un'altro mondo, prigioniero. Mi accarezzo dentro. Stendo al sole la mia mente e progetto un pensiero stupendo.                                                                  

sabato 30 ottobre 2010

Cado dal cielo.

    Cado dal cielo, è solo un po di me che se ne va. Passa un aereoplano sotto ai miei piedi, alle mie braccia, alla mia testa, al mio corpo capovolto. Da un oblò un bambino mi fa ciao con la mano, non c'è il tempo per rispondere al saluto. Volo, ripasso gli accordi, carico la pistola. Scivolo tra le nuvole. Rivoglio il controllo, le mie ali nere. Rivoglio quello che non c'è. Meraviglioso come a volte quello che non sembra non c'è. Ora l'alba è musica, nessun ricordo. Adesso è facile. Molecole e metodo. Accordi su accordi, me l'hai insegnato tu. Suonerò per te, per te che sai ascoltare e anche per me che viaggio senza mai partire. Faccio addestramento. Vengo da un errore ma posso ancora osare. Cado dal cielo. Prendimi, se puoi.

venerdì 29 ottobre 2010

Nella città spenta.


         Nella città spenta cammino. Non so se mi conviene. Da angoli retti ottusi mi osservano. Cammino cercando di capire se sono già passato. Nella città spenta respiro. Non so se mi conviene. Strade parallele di parallelepipedi al neon piene mi seguono. Lo sento, lei è qua. Nella città spenta cammino. Non so se mi conviene.

domenica 24 ottobre 2010

Hai visto?

Questo mondo è tremendo, tutto va veloce, non c’è mai un attimo di respiro. Ma hai visto la televisione, quante
disgrazie, pieno di morti, dappertutto. Ma hai visto il traffico, non si può più andare in giro. Ma hai visto
il calcio cosa è diventato, tutti quei miliardi, le veline con i calciatori, è pazzesco. Ma hai visto la politica e poi anche il cinema, l’educazione, non c’è più religione. Ma hai visto come cambiano le cose, ma hai visto..........
- No, guarda, io non ho visto un bel niente, sono cieco, da sempre ! Ma va a fanculo, va !.-

sabato 23 ottobre 2010

Va bene così.

Ho ricominciato a ridere; sembra incredibile eppure è così.
Da ragazzo ero convinto che le strade fossero tutte belle diritte; col tempo ho imparato che non è così.
Il mare, oggi, ha un colore diverso. Va bene così.

venerdì 22 ottobre 2010

Il vuoto.

Il vuoto è affascinante, vicino, pauroso,distante.
Il vuoto/in quanto tale/lo puoi riempire, valutare,osservare.
Il vuoto è fisico e metafisico/è iperbole,allegoria,metafora.
Il vuoto è tutto o niente:
Il vuoto lo lascia chi va via dalla sua gente.
Il vuoto spesso è solo un buco/dove ficcare naso, lingua, dita.
Il vuoto è vortice, risucchio/ di anime, di vita.
Il vuoto è un insieme di vedute/e nuoce gravemente alla salute.

martedì 19 ottobre 2010

Lucciole.

Disteso su di un prato gli occhi puntati nel cielo a scavare le stelle. Buio e lucciole. Tante lucciole. Tanti anni fa, una mano e un barattolo per catturarne più possibile. Un barattolo di vetro pieno di piccole stelle in movimento da portare in dono ad un amore. Si chiamava Giulia, aveva capelli biondi ed occhi azzurri e la mia stessa età, sei anni.

Regolo.

Lo vedevo passeggiare nelle sere d'estate lungo la strada di mattonelle rosse affacciata sul mare, oppure mentre aspettava il filobus per andare al Casino, o dalla spiaggia mentre passava con la sua piccola barca a vela. Sempre ben vestito, elegante nel portamento, bello sia in costume da bagno che con un Panama in testa. Quando lo incontravo non provavo rabbia anche se, forse, avrei dovuto. Non riuscivo ad odiarlo, avevo solo due anni quando se ne andò, praticamente non lo avevo mai sentito mio padre. Così quando capitava a tiro, cercavo di studiarlo, di capirlo. Ero curioso. Di lui sapevo poco: geometra, diploma conseguito a Mondovì in Istituto gestito da religiosi, figlio di un dirigente della rete elettrica, ex partigiano, grande giocatore. Così, un giorno, decisi di incontrarlo. Sapevo dove abitava e suonai alla porta. Lui aprì e, nonostante fossero passati anni dall'ultima volta che ci eravamo visti, mi riconobbe. Mi chiamò per nome, mostrandosi leggermente sorpreso, e con un malcelato imbarazzo mi disse di entrare. L'appartamento era semplice ed ordinato ed aveva una piccola saletta dove c'erano due poltrone di pelle e un tavolino con sopra il telefono ed alcune riviste. Ci accomodammo studiandoci un poco e poi conversammo. Chiesi della sua salute, avevo saputo dei suoi problemi di cuore, lui disse che non era nulla di grave e che tutto era sotto controllo. Mi domandò che facevo, se studiavo o lavoravo e quando dissi che ero Agente di Commercio non fece salti di gioia. Disse che era un mestiere difficile e poco sicuro e mi offrì di lavorare nella sua Agenzia Immobiliare. Io rifiutai senza offenderlo e lui disse: "Pensaci." Poi mi offrì un caffè. Dopo il caffè mi offrì la sua barca a vela, dopo avermi chiesto se amavo il mare, tanto lui non la usava più ed era abbandonata al portocanale coperta da un telo e non voleva venderla. Gentilmente di nuovo rifiutai dicendo che non avrei saputo che farne dato che non sapevo andare a vela. Infine mi chiese se avevo una moto. Dissi di no e allora mi propose di prendere in regalo il suo motorino, un Califfo 50 ed io pensai che solo lui poteva avere un motorino con un nome come quello. Ancora lo ringraziai ma dissi no. Ci guardammo un attimo negli occhi, lui sorrise e chiese: " Ti piace l'azzardo?"- " Dipende." dissi io. "Intendo il gioco.." fece lui. "No" risposi. " "Bravo! Non ti fare mai tentare. Guarda me. Ho perso una famiglia a causa di questo maledetto vizio.". Poi sospirò un attimo e guardandomi con attenzione, forse cercando qualche particolare che potesse assomigliargli, si avvicinò, posò la mano destra sul mio ginocchio sinistro e disse con voce soave:" Però se dovesse mai capitarti di entrare anche per sbaglio in un Casino e dovessi passare davanti ad un tavolo della roulette giocati questa sestina, è magica." ed elencò la serie di numeri. Restammo qualche attimo in silenzio fissandoci negli occhi. Dopo ci alzammo e lui mi accompagnò alla porta ringraziandomi della visita. Ci salutammo sulla soglia ed uscii. Appena l'uscio si chiuse dolcemente dietro le mie spalle cercai di ricordarmi quella serie di numeri ma, come per magia, erano spariti dalla mia mente. Avevo già dimenticato.      

sabato 16 ottobre 2010

Lacrime.

Lei piange.
Io la guardo e non so perchè non riesca a sussurrarle parole d'amore.
Dovrei, vorrei, potrei ma non riesco.
Lei piange.
Io la guardo e non so perchè le stia sussurrando parole d'amore.
Non dovrei, non vorrei, non potrei ma ci riesco.
Lei piange.
Io la guardo con occhi gonfi di lacrime, disperati.
Non dovrei, non vorrei.
Almeno capissi perchè.

giovedì 14 ottobre 2010

Le Fiabe di Miss Condom.

C'era una volta una piccola testa di cazzo, insomma una come voi, che non sapeva nuotare.
Un giorno, bello o brutto che fosse, si trovò in riva ad un grande, grigio lago. La nostra piccola testa di cazzo doveva attraversarlo quel lago e la cosa la preoccupava non poco.
" Come farò ad arrivare sull'altra sponda?!" pensava " Non vedo imbarcazioni, nemmeno un canotto ed io non so nuotare.." Mentre pensava, pensava, le ore passarono e si fece buio. Venne la notte, una notte scura scura senza nemmeno una stella nel cielo.
Ad un certo momento il buio fu squarciato da una luce potente che avanzava fendendo l'oscurità accompagnata dal rombo di un motore. Era un'automobile. Si udì uno stridio di freni, luce e motore si spensero e tutto tornò nel buio. Un attimo dopo l'auto prese a sussultare, dall'interno provenivano gemiti e dopo tre minuti qualcuno aprì un finestrino e una mano bianca lasciò cadere un pezzo di plastica, umido e viscido, proprio sopra la nostra piccola testa di cazzo. L'auto si mise in moto e se ne andò. La nostra piccola testa di cazzo notò che la plastica era quasi della sua misura, solo un poco più grande. Allora la calzò a modo di tuta da sub, si avvicinò alla riva e si lasciò scivolare nell'acqua. Timidamente fece un paio di bracciate e si accorse che galleggiava. Felice e vedendosi già dall'altra parte del lago, nuotò con più vigore certa di aver risolto il problema. Per sua sfortuna passava di lì un feroce pesce minchione che ne fece un sol boccone.
Bene, piccole teste di cazzo, la storia è finita. Ora tutti a letto e senza sputare..
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mercoledì 13 ottobre 2010

Ti guarderò per sempre.

Se guardarti negli occhi significa averti, ti guarderò per sempre a costo di perderti.                    

lunedì 11 ottobre 2010

Persi.

 Persi in questo mare nero, terribile
   Che corrode il corpo e succhia l'anima.
      Distanti anni luce dalla luce, dal possibile
         Fendiamo il buio con una lacrima.
            Vicini di stanza della signora delle tenebre
                Stringendoci le mani ripareremo dal freddo
                   Accarezzandoci il viso allontaneremo il soffio gelido
                       Sfiorandoci le labbra nuoteremo fino alla bianca rena dell'ultimo, infinito lido.

domenica 10 ottobre 2010

Masai.

  La combriccola del bar è formata da un gruppetto di ultra quarantenni, pieni di problemi, attaccati al bicchiere. Gente semplice che cerca di  apparire complessa, ma riesce soltanto a complicarsi la vita. Discorsi naive, deja-vu a manetta, politichese da bar di paese, insoddisfazioni e nevrosi a chi li. T. soffre di ansia al duodeno, M. di ansia da cazzo, Tr. vuole aprire un agriturismo perchè è stufo di  raccogliere olive. Parla dei Masai come fossero parenti e sostiene che vivono benissimo senza  Rolls-Royce. Io penso: tu porta una decina di Rolls a quei pastori e vedi, se dopo averci fatto un giretto, hanno ancora voglia di andare a piedi. “ Sono pensieri borghesi, di una classe che deve sparire ! “ Cazzo, Tr., ma pensi ancora che esista la borghesia. T., sopra al duodeno nevrotico, porta una t/shirt con  su scritto qualcosa tipo- Il  fucile è la democrazia degli operai -. Vuole andarci a scuola, l’indomani, con quella maglietta. Fa la bidella. Si considera danneggiata dal servilismo dei colleghi che, a suo dire, si pappano il meglio della pappa, gli incentivi scolastici, e a lei niente. Allora vuole dimostrare la sua anima operaia, per avere la sua fettina di torta. Grande rivoluzione. M. pensa solo al cazzo. Si veste giovane, parla giovane, si sente giovane. Io dico “ Ma tu sei giovane “, e penso, solo un po bruttina,  e continuo “ L’età non conta. “,  per altre.  Ma per quanto riguarda il cazzo, non ti preoccupare ce n’è per tutte. Si trova, si trova. Ce n’è un mucchio anche qui al bar. Bello pronto all’uso, basta chiamarlo. “ Tu prova ad andare in Oregon.. vedrai.. “ In Oregon ? Ma che cosa ci vai a fare in un posto così di merda, così in culo al mondo. Ma che cazzo ci sarà mai, nell’Oregon ? Sono dei poveri pazzi, alcuni anche socialmente piazzati, ma troppo inutili. Passa il venditore di rose, pakistano. Insiste.. Compra rosa..
“ Guarda.. se domani mi reciti l’inizio del Capitale di Marx, ti compro tutto il mazzo. Oppure il libretto Rosso di Mao. A tua scelta. Giuro che te lo compro. “ Il pakistano, o l’indiano, non capisce, annuisce, vaffanculisce. Lui di rosso ha solo alcune rose e i pantaloni che indossa.

sabato 9 ottobre 2010

Pillole.

Amore, voglio baciarti per sempre..
Va bene..quando esci lascia le tue labbra sul comodino.

Non ho mai amato nessuno come amo te.
Appunto..lascia perdere

.Vedrai amore..affidati, io ti cambierò la vita!
Ok. Ma non esagerare..vorrei vivere ancora per un po’.

Hey baby..sei insaziabile..prendiamoci una pausa..
Hai ragione amore e poi ho una gran sete..permetti?..
No..Cristo..ho finito lo sperma!

Sai caro, il mio sogno erotico ricorrente è di fare all’amore con più uomini contemporaneamente.
Beh..io sono solo..ma mi sono reincarnato già sei volte.

Ciao amore..sei unico..è stato bellissimo…ora , però, devo andare..ci vediamo domani pomeriggio qui da te?
Ok..se vuoi puoi lasciare qualcosa di tuo qui..che ne dici di cinquecento euro?

Baby..ti adoro e mi piaci un casino..però potresti, ogni tanto, farti la barba?..

E’ stato fantastico!..Non avevo mai goduto così tanto!..Sei un uomo meraviglioso!..
Sono una donna e mi chiamo Paola.

Mi ami?
Direi di si..
Mi sposeresti?
Direi di si..
E mi ameresti per tutta la vita?
Pensi di vivere a lungo?

giovedì 7 ottobre 2010

Le ali.

Lei è un angelo, ha ali fantastiche in mezzo alle gambe.