martedì 2 novembre 2010

Batman

 Da tre mesi sono ospite in una pensione nel quartiere del porto.Nella stanza vicino alla mia vive da due anni un transessuale che batte sui controviali intorno alla stazione e, una notte sì e l’altra anche, torna pesto, ma lui dice che in fondo non gli dispiace perchè è nato a Genova. Humor tipicamente anglosassone e si sa che i genovesi adorano l’Inghilterra. Si chiama Antonio, ha la barba, ma per tutti è  la Roberta. Ogni volta che mi incontra, sorride e mi chiama amore. Io lo mando regolarmente a fanculo e lui risponde che, pur non sapendolo, sono un buongustaio e se ne va sculettando, emettendo una serie di sospirati gridolini, inseguita da un secondo fanculo condito da un troia. Nella stanza  dirimpetto al cacatoio, abitava, da non so quanto tempo, un vecchio che, si dice, avesse lavorato come nano, anche se era alto circa un metro e ottanta, al circo di Darix Togni.
Si chiamava Andrea, ma per tutti era Batman, non perchè facesse numeri acrobatici, ma a causa del tremore che gli procurava   il morbo di Parkinson, che lo aveva colpito e gli faceva battere le mani. Circa un mese fa gli regalai delle bacchette da  batterista che avevo rubato in un bar dove suonavano spesso del jazz e lui si trasformò, dotato di temperamento artistico com’era, in un novello Max Roach, fracassando tutto ciò che trovava sulla sua strada. Batman era davvero incredibile. Un  giorno qualcuno gli disse che, con un nome simile, avrebbe sicuramente potuto volare e lui si gettò dalla finestra del terzo piano, agitando le bacchette e, dopo avere sfondato la tettoia in plexiglass della lavanderia a gettoni sottostante, andò in mille pezzi. Si dice, che le mani intrise di Parkinson, come la coda mozza di una lucertola, continuarono a  muoversi, per qualche minuto, suonando un ritmo in levare.

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