martedì 2 novembre 2010

Jesus.

  Si definiva anarchico, forse più per amore di un nonno che per pura convinzione, e in una ormai lontana estate scarrozzò sulla sua auto di plastica decapottabile uno Jesus qualsiasi. In continua lotta tra una libertà presunta di pensiero e la prigionia reale del portamonete si mostrava agli altri pensando a se stesso. Così facendo divenne quasi un mito nel luogo in cui viveva, riconosciuto da tutti, quasi una fusione tra Sacco e Vanzetti o un figlio di un figlio di Zola. Partecipava ad ogni iniziativa politica di area ultra sinistra con distaccato accanimento. Sempre in prima fila ad assistere a Consigli Comunali sinistri, riconoscibile per la chioma scapigliata, l'abbigliamento trasandato, la bassa statura e quell'espressione attenta e leggermente sardonica di chi pensa di essere un candelotto di dinamite bello pronto a saltare per aria. Nei bar di paese beveva con tutti quelli che offrivano dandogli pacche sulle spalle, un po meno con altri meno espansivi e generosi. Fumava molto, come si conviene ad ogni bombarolo che si rispetti, ma se gli chiedevi una sigaretta te la offriva come se fosse l'ultima necessaria ad accendere la miccia. Figlio di un inventore nonchè accanito cercatore di funghi e di una inossidabile giocatrice di Ramino era giunto intorno ai vent'anni indossando completi in Principe di Galles forse sognando i dandies di Londra. Corteggiava le donne ma queste non se ne accorgevano. Così, come quasi sempre succede, gli insuccessi amorosi lo  spinsero a rivedere le sue idee e nel suo bozzolo scelse di non tramutarsi in un baco da seta bensì in una farfalla. Quando ne uscì, munito di borsello, si vide nello specchietto retrovisore di una Lambretta e si piacque parecchio. Quelli che seguirono furono anni di frenetico sfarfallio, un po per tutti e, quindi, anche per lui. Spesi tra tavoli di osterie apparecchiati con tovaglie intrise di propositi di rivoluzione, in fumose serate di musica rock o jazz ma con un occhio sempre rivolto alla squinzia di turno, a cui cercava di inculcare l'ideale anrchico fatto di piena libertà d'azione, di elasticità mentale ed, in ultimo ma non per ultimo, di completa apertura di gambe. Alla fine restava solo, le gambe rimanevano fermamente chiuse, sul tavolo un bicchiere di rosso, dal mangianastri una canzone dei Nomadi. Oggi non so se si professi ancora anarchico, se fumi ancora sigarette francesi, se viva ancora di sogni. Qualche volta lo vedo passare su una moto giapponese o scendere da una monovolume. Abbigliamento ordinato, capelli dal taglio curato, con in tasca un IPod al posto della dinamite. In una lontana, calda estate scarrozzò sulla sua auto di plastica uno Jesus qualsiasi: chissà che fine ha fatto.                                                                                  

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