giovedì 30 dicembre 2010

Buon Anno!

   Quando arrivò all'ultima pagina del suo diario si accorse che l'anno era finito. Chi l'avrebbe mai detto, trecentosessantacinque giorni prima, che tutto sarebbe cambiato. Le ultime parole che scrisse furono " Buon Anno " seguite da un punto esclamativo. Era l'augurio che rivolgeva a se stesso per un tempo che doveva arrivare e, ora che l'aveva messo nero su bianco, poteva voltare pagina, chiudere il blocco note Schnitzler destinato al duemiladiciotto, accarezzarne la copertina rossa in brossura, sistemarlo in uno scaffale, dimenticarlo per sempre. Fece tutto questo la notte del trenta di dicembre. Il giorno dopo, sapeva, non avrebbe avuto modo di scrivere nulla, così decise di chiudere l'anno in anticipo. Sulla finestra rimbalzavano le luci colorate di un Luna Park. Alzò gli occhi al cielo per vedere le stelle e le stelle abbassarono i loro per guardarlo. Sul Grande Carro trainato da cavalli alati vide Dio, con le briglie serrate in una mano e una bottiglia di Pommery nell'altra lanciato a tutta velocità lungo la Via Lattea, che gli sorrideva riconoscendolo figlio suo. Aprì i vetri e nell'aria fresca urlò con tutto il fiato che aveva in gola il suo nome. Poi richiuse e tornò a sedere. Prese tabacco e cartine e si rollò una sigaretta. Mentre con la lingua umettava il lato adesivo della piccola striscia di carta da un occhio scivolò una lacrima. Una sola. Percorse lentamente tutto il viso per poi staccarsi dal mento e cadere nel vuoto. Si fermò a mezz'aria, rimanendo sospesa all'altezza delle ginocchia. Lui allungò un braccio e la raccolse nel palmo della mano. La avvicinò agli occhi per osservarla meglio. Vide che era perfettamente sferica, trasparente. Si accorse che dentro nascondeva un'altra piccola sfera che brillava come un diamante. Si alzò lentamente e si diresse verso la libreria. Con la mano libera prese il diario che aveva appena riposto, lo aprì all'ultima pagina e vi appoggiò delicatamente la sua lacrima. Poi richiuse. Ora l'anno era davvero finito.

giovedì 23 dicembre 2010

Tanti auguri!!.

    Babbo Natale, una volta finito di caricare di doni la slitta, passò in Direzione dove gli venne consegnato il Libro degli Indirizzi dei Buoni. Unitamente, in una apposita busta color oro, gli diedero il nome del luogo e della famiglia presso la quale avrebbe dovuto svolgere l'annoso e poco piacevole compito di infilarsi in un camino per consegnare di persona ai fortunati prescelti quanto spettante come da elenco allegato. Da qualche anno andava così a causa della crisi economica mondiale. Il Governo di Natalilandia aveva deciso tutti i tagli possibili alla spesa pubblica e anche i costumi di Babbo erano stati ridotti a solo due da utilizzare con parsimonia. Così si era deciso di estrarre a sorte una sola famiglia nel mondo che avrebbe avuto il privilegio di vederlo scendere dal camino. La decisione, a differenza di molte altre, fu accolta con favore dal Sindacato del Babbo di cui Natale era peraltro l'unico iscritto e rappresentante. Ritirate le consegne, Babbo mise il tutto in una borsa di pelle di renna, salutò augurando a tutti un Buon Natale e sghignazzando uscì nella tormenta di neve. Salì sulla slitta e prima di mettersi al posto di guida estrasse dal mobile bar una bottiglia di Vodka purissima che scolò in un attimo. Poi lanciò il vetro in testa alla prima della fila delle renne che partì al galoppo trascinandosi dietro il resto della muta per decollare con successo poco dopo. Babbo Natale inserì nel pilota automatico i dati di navigazione destinazione " Bergum De Ura ". Il luogo gli era completamente sconosciuto. " Certamente si tratta di qualche villaggio sperduto nel Centro dell'Africa. Roba di capanne di fango e riti wudù." pensò " Speriamo che 'sti selvaggi abbiano almeno un po di buona acquavite." concluse prima di addormentarsi con il cappello calato sugli occhi. Durante il viaggio sognò di trovarsi su di una spiaggia delle Maldive, tra le braccia di una bellissima, giovane indigena che mentre lo accarezzava ovunque lo chiamava, sospirando, Babbino mio. Un atterraggio non dei migliori lo svegliò bruscamente. Lui si adirò, scese e, dopo aver staccato con un morso un'orecchio della renna pilota, diede un'occhiata intorno. Strano non c'erano Zulù nei pressi, ne capanne. Nemmeno un cane. Anzi no uno c'era. Stava dietro il cancello di un'anonima villetta a schiera immersa in una fetida nebbia. Un Rotweiler incazzato come non mai che abbaiava e ringhiava in modo assordante. Per non rovinare la sorpresa alla famiglia Brambilla che abitava in quella casa, di cui aveva appreso il nome aprendo la busta d'oro, diede alla bestiaccia una polpetta avvelenata a base di cassola e riso alla milanese. Il cane la inghiottì in un sol boccone cadendo a terra fulminato un attimo dopo. Tornato il necessario silenzio, Babbo prelevò dal bagagliaio della slitta i doni per i Brambilla, li mise in un sacco di Vuitton e cominciò la scalata. Giunto sul tetto con una certa fatica, gli anni cominciavano a pesare, individuò il camino e vi si infilò. Quando giunse a terra e fece per dirigersi lentamente verso l'albero di Natale, che era nel centro della stanza splendidamente addobbato ed illuminato, in un attimo si trovò circondato da un gruppetto di persone in pigiama con dei randelli in mano che iniziarono a picchiarlo selvaggiamente urlando " Dagli al neger!!" all'impazzata. Purtroppo scivolando lungo la canna fumaria si era completamente ricoperto di fuliggine ed effettivamente, pur non volendo minimamente giustificare quei padani poco ospitali, lui stesso si rendeva conto di assomigliare molto di più ad un Mandingo ad Oslo che ad un Santa Klaus canonico. Quando il nonno dei Brambilla, leghista di prima generazione, accese la luce chiedendo agli altri se fossero riusciti ad ammazzare il neger, tutti si resero conto del terribile errore. Il geometra Brambilla, a nome di tutta la famiglia, si disse rammaricato e fece le più sentite scuse. La signora chiese al Babbo se volesse, per tirarsi un po' su, un dito di Grappa e gli porse la bottiglia. Babbo la prese al volo, strappandogliela di mano, e la finì in un secondo. Gli occhi divennero di brace, i muscoli si gonfiarono a dismisura, il costume esplose e andò in mille pezzi. Ci fu un momento di spaventoso silenzio. Qualcuno spense la luce, subito dopo l'albero. Nel buio più assoluto si udì un urlo straziante. Quando la luce tornò Babbo Natale era scomparso e con lui i doni. In un angolo, vicino al camino, il nonno rantolava con una  bottiglia vuota di Grappa nel culo. I tre piccoli Brambilla si misero a piangere appena realizzarono che per quest'anno non avrebbero avuto nulla nonostante avessero diligentemente compilato, come richiesto dal maestro della locale scuola elementare, le letterine a Babbo Natale con inchiostro verde e giurarono che, appena raggiunta l'età per votare alle elezioni, avrebbero messo la loro croce sul Partito di Autonomia Sardo. Nel camino ardeva un falò alimentato dal Diploma di Geometra del Brambilla e dall'intera Enciclopedia della Cucina e Tradizione Padana, Opera in dieci volumi di cui nessuno avrebbe mai sentito la mancanza. Ormai in viaggio per altri lidi, Babbo Natale, masticando uno zampone genuino padano prelevato dai Brambilla, si chiese se non avesse esagerato. Decise per un fermo " No! "e si buttò tutto alle spalle, compreso l'osso dello zampone con un sonoro, rotondo rutto. Poi allentò le briglie e schiacciò sull'acceleratore. Le renne misero il Turbo. Bisognava fare in fretta. Non rimaneva molto tempo. Manca poco al Natale.
A proposito: TANTI AUGURI!!!.
  

martedì 21 dicembre 2010

Racconto di Natale.

    L'uomo meraviglioso si sedette a capo della tavola e, portandosi l'indice della mano destra alle labbra, chiese a tutti di fare silenzio. Nell'immenso salone da pranzo, attiguo a quello delle feste, non volò nemmeno più una mosca. I centododici invitati, sconosciuti tra loro, deposero quanto avevano in mano, chi un bicchiere di cristallo, chi una posata d'oro, chi una coscia di pollo, chi un seno della vicina. Quelli che avevano in bocca qualcosa masticarono e deglutirono in fretta. Solo la signora cinquantenne maggiorata seduta, come da segnaposto marchiato a fuoco sulla schiena di ogni invitato, da un impeccabile maggiordomo, poco prima di venire accompagnato alla rispettiva seggiola da un personale cameriere, ebbe qualche difficoltà a causa delle dimensioni enormi del pene che stava gustando, appartenente ad un attore porno in piena attività che la fortuna le aveva posto al fianco. Quando riuscì, con sforzo bestiale, a serrare le mascelle, lo stallone evirato prese a zampillare sangue come un idrante ma, incrociando gli occhi severi dell'uomo meraviglioso, riuscì a trattenere il dolore e si accasciò senza nemmeno un urlo. Accorsero, su ieratico segnale del padrone di casa, alcuni inservienti con una carriola sulla quale caricarono l'infortunato trasportandolo velocemente via. Dalla panchina delle riserve, posta in fondo al salone, si alzò un nano in smoking, che, dopo aver fatto alcuni esercizi di riscaldamento, prese il posto appena lasciato libero dal titolare. Il maggiordomo fece la conta per accertarsi che tutti i posti fossero nuovamente occupati. Quando ebbe finito fece un segnale di OK all'arbitro che mise il fischietto in bocca e decretò la ripresa del pranzo. L'uomo meraviglioso alzò una mano, due vallette, completamente nude e ben fornite, vennero fluttuanti e leggere e lo aiutarono ad alzarsi dall'immenso trono su cui era accomodato. Ad un secondo segnale della mano le vestali sparirono. L'uomo meraviglioso era altissimo, bellissimo, con capelli lunghi corvini su spalle titaniche ed occhi di brace luminosi e penetranti. Si chinò in avanti arrivando col capo quasi nel mezzo della lunghissima tavola e ruotando il viso da una parte e dall'altra cercò qualcuno. Il suo sguardo, terribilmente affascinante, si fermò su di un Cardinale di rosso vestito. L'alto prelato, intimorito, fece un timido sorriso e allungò la mano di bianco guantata con l'anello al dito. L'uomo meraviglioso sfilò il prezioso rubino e, dopo essersi calato i pantaloni suscitando cori d'ammirazione nelle signore presenti, se l'infilò nel culo. Poi schioccò la lingua. Un attimo dopo un plotone d'esecuzione, armato con moschetto modello '15/'18, prelevò il Cardinale e lo passò alla baionetta. Il tutto si svolse nel silenzio più assoluto all'interno della stanza della musica. Si udirono solo alcuni urletti quasi di piacere che fecero capire bene le tendenze sessuali del giustiziato. Poi il pranzo riprese e tutti si misero in moto. Nella grande stanza partì un gran vorticar di mandibole, di denti che azzannavano, gole che ingoiavano, succhi gastrici che fermentavano. Passarono due ore e allo scoccare del centoventesimo minuto due Masai fecero il loro ingresso trasportando un enorme gong. L'uomo meraviglioso prese la mazza in mano e picchiò fortissimo. Poi, rivolgendosi ai commensali, battè le mani e tutti si alzarono dirigendosi, uno ad uno, alla cassa per saldare il conto. Anche per quest'anno il Pranzo di Natale, offerto dal Governo ai poveri, era concluso.
 

lunedì 20 dicembre 2010

Il plastico.

A seguito dell'ultimo evento sismico verificatosi due giorni prima, l'ingegnere, in forza alla Protezione Civile, decise di accettare l'invito a cena fattogli da Hansel e Gretel, un sabato sera a sua scelta, per discutere sull'opportunitò di rendere antisismica la loro casa di marzapane. Si mosse dalla poltrona, dalla quale stava ascoltando, senza audio, D'Alema ospite di Matrix, per sedersi alla scrivania dove era il telefono in bachelite. Alzò il ricevitore e compose, sul vecchio disco coi buchi, il primo numero della serie. Infilando l'indice in quello del 5 ruotò il disco ascoltandone con piacere, come sempre, il fruscio di ritorno. Poi fece gli altri. Rispose il proprietario del ristorante La Grande Muraglia, al quale ordinò un riso alla Cantonese e degli involtini Primavera. Dopo poco suonarono alla porta e un piccolo muso giallo gli consegnò quanto richiesto. Pagò il conto lasciando il resto di mancia. La porta si richiuse sull'inchino con " Glazie!" del garzone. Tornò verso la poltrona e si risedette davanti al televisore muto. C'era sempre D'Alema, muoveva la bocca e pareva un pesce in un acquario.  Aprì il contenitore del riso e con delle bacchette di legno, dono di una sua amica molto portata per un certo genere di giochetti orientali, cercò di raccoglierne alcuni chicchi. Non riuscendoci optò per una forchetta. Finito il riso, bevve un sorso dalla bottiglia di birra danese che era ai piedi della poltrona, fece un rutto compiacendosi dell'effetto sonoro, e passò agli involtini. Uno lo diede al gatto che ronfava accovacciato sulle sue pantofole, gli altri due li mangiò con un certo disgusto. Poi scolò la birra rimasta e si accese una sigaretta. Soffiando verso il soffitto anelli di fumo pensò che, forse, aveva fatto male a gettare, dopo averla fatta a pezzi con un machete, sua moglie nella grande stufa in ghisa che riscaldava la casa, qualche giorno prima. Va bene, era una rompipalle però cucinava discretamente. Le riuscivano splendidamente i dolci, in particolare la torta di mele di cui andava pazzo. Gli venne voglia di qualcosa di dolce. Si alzò ed andò in cucina. Nel frigorifero non ve n'era traccia. Ripiegò su alcune bustine di zucchero che aveva rubato dal bancone di un bar la sera prima. Ne aprì una, la portò alle labbra e lasciò scivolare i cristalli bianchi sulla lingua. " Ho fatto bene ad ammazzarla!" urlò " Ok..faceva un'ottima torta di mele ed anche un discreto tiramisù ma, a questo mondo, non servono i dolci, i dessert. Non serve lo zucchero, il miele. Servono portate pesanti, piene di cattiveria. Basta con la melassa!". Urlava così forte che il vicino, malato da tempo di diabete, si spaventò e chiamò la Polizia. Gli agenti cercarono di calmarlo ma lui reagì e dovettero arrestarlo. A seguito di perquisizione trovarono nella cantina alcuni resti umani incollati ad un tanga. Le analisi di laboratorio eseguite dal Ris di Parma evidenziarono che si trattava di pelle e peli appartenuti ad una donna e che i reperti risultavano intrisi di zuccheri. Quando il magistrato incaricato di interrogarlo gli chiese se aveva idea di chi ne fosse la proprietaria, lui disse di sì. Era sua moglie e confessò di averla uccisa, tagliata a pezzi e bruciata nella stufa. Misero a verbale e gli fecero controfirmare il foglio. Poi gli chiesero il perchè, cosa lo avesse spinto ad un tale efferato gesto. Lui rispose che lo avrebbe rivelato solo se ospitato da Bruno Vespa, a Porta a Porta. Il plastico dell'appartamento, dato che era ingegnere, lo avrebbe portato lui.  

mercoledì 15 dicembre 2010

Black Block.

    Da bambino quando, con la famiglia, all'inizio degli anni '60, si era trasferito a Roma aveva in testa una sola idea, fare il clown. Si era innamorato del Circo un anno prima, in una sera d'estate, assistendo ad uno spettacolo dei Togni. Gli piacque tutto. I domatori, gli acrobati, i giocolieri, gli animali ma quello che veramente lo rapì fu l'allegria sgangherata  di un gruppo di nani vestiti da pagliacci. Decise così che, un giorno non troppo lontano, sarebbe diventato uno di loro. Il fisico non l'aiutava, era alto quasi due metri ma, pensò, che se si fosse segato le gambe forse avrebbe potuto farcela. Un mese dopo suo padre lo sorprese con una sega in mano nel bagno e lo rimproverò di essere un pervertito vizioso. Lui non capì ma decise di abbandonare il sogno. La madre, una violinista dilettante monca, lo volle iscrivere al Conservatorio di Santa Cecilia ma lui la tradì e scambiò il Corso di Violino con quello del Timpano. Gli anni che seguirono videro un progressivo spopolamento del quartiere dove abitava, in particolare nel suo palazzo rimase solo la famiglia del portiere e quella del Rag. Uditori, marito, moglie e due figli, tutti sordomuti dalla nascita. Anche la Dolce Vita finì in quel periodo ma non è certo che esista una relazione tra quanto accadde e la sua pervicacia nell'esercitarsi. Il padre, esasperato e memore della  scoperta fatta nel bagno qualche tempo prima, gli regalò una sega elettrica circolare sperando che il figlio ne facesse buon uso. Non fu così. Il ragazzo ormai era completamente invasato da uno spirito percussivo degno di un capo tribù dell'Africa più nera e pestava sugli enormi tamburi in continuazione. Si diplomò due anni dopo, in anticipo. La direzione del Conservatorio decise di accorciare il suo corso per disperazione e, un attimo dopo avergli consegnato l'attestato con caldi ma  frettolosi complimenti per l'abnegazione dimostrata ed il livello raggiunto, gettarono i timpani da studio, dopo averli accuratamente distrutti, nella discarica Comunale. Due settimane dopo ricevette la cartolina di precetto per la Leva Militare. Lo destinarono in Marina. Lui fece domanda per entrare nella Banda della Marina Militare e la sua richiesta fu accolta. Il comandante del reparto, un colonnello che amava Nilla Pizzi, il giorno della prima prova gli chiese di fare una rullata. Lui partì e non riuscirono più a fermarlo. Ci vollero due cacciabombardieri decollati dalla portaerei ormeggiata al largo di Taranto per abbatterlo. Due giorni prima aveva avuto un frettoloso, rombante incontrò con una signorina che amava gli uomini in divisa. Da quei due minuti di vibranti effusioni nacque, nove mesi dopo, un fantolino dal carattere nervoso. La madre, in memoria del padre, volle chiamarlo Black. Quando crebbe, gli amici teppisti che frequentava, ci aggiunsero Block. Negli anni si specializzò nel rompere tutto quello che gli capitava a tiro. In particolare amava bruciare i cassonetti dell'immondizia. Oggi è un solerte funzionario dello Stato, impiegato presso il Ministero agli Interni, con delega allo smaltimento dei rifiuti.

domenica 12 dicembre 2010

Mondo difficile.

Gli piacevano talmente i gatti che decise di mangiarne uno. La crisi economica nella quale si dibatteva il Paese gli aveva portato via tutto. Il lavoro, la moglie, i figli, la casa, la macchina, persino la raccolta completa di Diabolik. Il pignoratore non aveva avuto pietà e solo per poca attenzione gli aveva lasciato l'intera collezione di Urania. Da allora erano trascorsi due mesi e lui ne aveva bruciato già più della metà nella stufa per riscaldarsi un po'. Senza quasi accorgersene era scivolato nell'indigenza più assoluta ed aveva ricevuto dal Governo l'attestato di " Nuovo Povero " su carta pergamena con, a margine, i complimenti del Ministro dell'Economia. Ne fu contento. In fondo, pensò, ancora qualcuno mi considera qualcosa. In attesa che venissero a buttarlo fuori di casa, aveva fabbricato alcune bombe carta utilizzando una ventina di volumi di una vecchia enciclopedia del Fai da Te ritrovata nella soffitta, dei chiodi arrugginiti, alcuni calzini bucati e della polvere da sparo recuperata da una scatola di munizioni lasciategli in eredità, insieme ad una Statua della Libertà che faceva il segno del dito medio alzato in pugno chiuso, da un suo zio anarchico, emigrato negli Stati Uniti negli anni trenta del secolo scorso, con l'idea di disunirli. Naturalmente non c'era riuscito. Alla fine aveva abbandonato il progetto a favore di una pizzeria che aveva aperto a Little Italy e che poco dopo era saltata in aria con lui dentro che impastava la pizza. Dello zio gli erano rimaste solo quelle due cose, più una foto ingiallita che lo ritraeva nel porto di New York mentre sbarcava da una motonave ripreso dal di dietro, con i calzoni abbassati ed il culo peloso nudo. Quando suonarono al campanello lui non se ne rese conto. Il giorno prima l'Azienda Elettrica aveva provveduto, senza avvisarlo, a staccare la corrente. Chi stava dall'altra parte dell'uscio ripetè l'operazione più volte non ottenendo risposta. Allora un inserviente dell'Ufficio Giudiziario che accompagnava l'Ufficiale alzò l'ascia che aveva con se ed iniziò a colpire con veemenza la porta. Lui era sul balcone che bagnava l'ultimo geranio rimasto con l'ultima goccia d'acqua che era uscita dal rubinetto e quando udì il trambusto si diresse verso l'entrata dell'appartamento. Appena pose la mano sulla maniglia la lama trapassò la porta e gli si conficcò diritta nel centro del cranio, aprendolo in due. La cosa buffa fu che il parrucchino di capelli finti rosso sbiadito che indossava si divise, anch'esso, in modo perfetto tra le due parti senza rovinarsi nemmeno un poco. L'ufficiale Giudiziario fece abbattere definitivamente la porta e lui finì schiacciato sotto. Il drappello di squali gli passò sopra senza nemmeno notarlo. Poi, visto che non c'era nessuno, se ne andarono mettendo i sigilli sul telaio. Un attimo prima di uscire, uno del gruppo, notò un gatto leggermente spelacchiato, avvolto in carta da forno, legato vicino alla stufa. Lo prese con se. L'animale fece le fusa pensando di essersela cavata. Purtroppo colui che l'aveva salvato aveva un contratto in scadenza di lì a pochi giorni e non gli sarebbe stato più rinnovato. Tra poco avrebbe perso il lavoro, la moglie, i figli, la casa, la macchina e persino l'intera raccolta di Novella 2000. Anche a lui piacevano molto i gatti.
  

venerdì 10 dicembre 2010

Stanze.

Nella stanza del mezzosogno i punti cardinali erano una ipotesi.
Andrea, cercando di orientarsi tra il niente e il tutto, decise di diventare infermiere. Scambiò la chitarra per una siringa e divenne un mago delle iniezioni.
Lucia mise da parte l'idea di attraversare un deserto ed aprì un negozio di sabbie colorate.
Giorgio rinunciò alla boxe, appese i guantoni ad un chiodo e nel farlo si pestò un dito pollice con il martello.
Massimo andò sulla collina, sotto il grande albero e si mise ad osservare le formiche.
Nella stanza della luna le sirene sono bellissime.
Paolo, in un ascensore fermo ad un passo dal cielo, chiamò le nuvole.
Ester, sorpresa nuda in un camerino di un grande magazzino, si dichiarò soddisfatta.
Ulderico volle cambiare nome. Fece domanda all'Ufficio Anagrafe ma gli dissero che gli altri nomi erano esauriti.
Penelope, un transessuale che era in fila dietro di lui, gli propose uno scambio. Ulderico non accettò perchè da sempre aveva paura dei ragni.
Nella stanza del sole le lampade abbronzanti risultavano spente.
Gianna strappò il suo bikini e si esibì in una sfrenata danza del ventre ma era così magra che nessuno se ne accorse.
Mario vendette l'ultima motosega ad un maniaco omicida che subito volle provarla su di lui. Dopo firmò un assegno intingendo una stilografica nel sangue. Pare che la Banca lo abbia rifiutato per "mancanza dei decimali ".
Antonio servì un bicchiere di Rossese ad una cliente che subito lo rovesciò su di una tendina. Nacque una rissa e, dopo poco, anche una russa. Piccola. La moglie non volle sentir ragioni e chiese il divorzio.
Nella stanza del mare c'è solo un cassetto.
Qualcuno, non ricordo chi, si fermò ad Emboli. Qualcun'altro lo vide e chiamò un'ambulanza.
L'autolettiga giunse veloce. Dalla sirena spiegata un pezzo di Little Tony, Cuore matto. L'ossigeno non servì a niente. Morirono tutti felici e contenti.





venerdì 3 dicembre 2010

Rivolta di massa.

 L'acchiappatore dell'acqua, mentre chiedeva al divino di restituire P.P.Pasolini e di prendersi B.Vespa, discuteva animatamente con Lisbeth Salander e Polifemo se contasse di più lanciare massi o files. " Oggi i ragazzi non sanno che fare, sono insicuri, spaventati e molti, spesso, sono ad un passo dallo sbagliare. Non ci si perde in un grande albergo, basta seguire le indicazioni e non cercare di spostare i corridoi." concluse l'omone dall'occhio solitario e se ne andò indossando l'ultimo modello di occhiale di Valentino con una sola lente oscurata. Lisbeth restò un attimo muta poi aprì il suo portatile e lanciò un video dove si vedeva lei che diceva: " Trova il tempo che lascia e se avesse meno tempo non saprebbe che farsene." L'acchiappatore, infilandosi l'acqua, che fin lì era riuscito a raccogliere, in una tasca del giaccone, disse:  " Che vuoi pretendere da uno che non può leggere. Speriamo che questa crisi porti ad una rivolta di massa e non ad una disperazione individualista." - " Lo stato di vampirismo mediatico in questo Paese è inaccettabile e i morti sul lavoro l'unica strategia appoggiata dal governo per creare nuova occupazione. " Liz questo sentenziò mentre con una mano richiudeva il palmare e con l'altra si pettinava i capelli. L'oste urlò: " Ora basta! Si chiude. " e mostrò il conto. Polifemo aveva scolato tre Ceres e se ne era andato senza pagare. Lisbeth un te verde alla menta. L'acchiappatore centoventi litri d'acqua che aveva disperso sul pavimento cercando di travasarli nelle tasche. I due prima fissarono sorridendo l'uomo con il conto in mano, poi dissero all'unisono: " Happyness is real when is shared." Un attimo dopo erano scomparsi.

La vita va.

Quando lei se ne andò disse: " Amore..aiutami..non farmi male..non farmi soffrire."
 Lui, stringendola a se, la baciò credendo di arrestarne il volo.
Si sbagliava.
Poi s'infilò la giacca ed uscì.
Prese la bicicletta e pedalando all'indietro giunse al mare.
- Felicità? Ci si arriva a nuoto. - pensò.-
E' difficile resistere al mercato. La vita va. - concluse.
Mentiva.

giovedì 2 dicembre 2010

Qualcuno.

 " Guardo fuori ma non vedo niente. Sarà perchè le persiane sono chiuse? " si domandava. Seduto sull'ultima delle quattro sedie che possedeva  e non aveva ancora bruciato nel vecchio camino, con un bouquet di viole in mano, aspettava. Qualcuno. Quando il campanello trillò fece un sobbalzo. Alzandosi per andare ad aprire la porta sperò che un cuore sarebbe entrato prima delle parole. Percorrendo il corridoio si guardava intorno senza riuscire a riconoscere nulla di quello che vedeva. Il pavimento di ardesia era parzialmente coperto da una passatoia rossa con passamaneria oro ma lui non la calpestò. Lentamente camminava sulla parte scoperta. Sentiva freddo ai piedi e si accorse che erano nudi. Piegò all'insù le dita un paio di volte per riscaldarle, poi diede un calcio deciso ad un vaso cinese post rivoluzione per provarne la resistenza. L'alluce affondò proprio nel centro del viso di Mao, i cocci, insanguinati, volarono in aria portandosi via il braccio alzato ed il Libretto Rosso. " Bei tempi." pensò. Giunto davanti all'ingresso liberò i tre catenacci che proteggevano l'appartamento. Mentre, una ad una, manovrava le serrature si chiese a che servissero visto che dentro non c'era nulla che valesse la pena di essere rubato. Decise che il giorno dopo avrebbe chiamato un fabbro per toglierle e posizionò il mazzetto di fiori davanti al naso. Aprì ma sull'uscio non vide nessuno, menchemeno colei che attendeva credendo di amarla. Udì una voce: " Telegramma! Signore. ". Abbassando lo sguardo si accorse di un nano vestito da fattorino che agitava un foglio giallo con una mano. Con l'altra si grattava il culo ma non lo ritenne offensivo. Firmò la ricevuta, richiuse e tornò a sedersi.
 " Guardo fuori ma non vedo niente. Sarà perchè le persiane sono chiuse? "