lunedì 28 febbraio 2011

Pulcis in fundo.

Qualcuno ritiene che la crisi porterà ad una svolta di massa, in fondo al rettilineo, dopo il semaforo, la prima a destra.
Ogni sera, nel piccolo bar del paese, si discute. Di politica, di calcio, di donne. Ogni tanto si alza un poco la voce ma solo per sentirsi meno soli. Spesso urlano tutti come fossero sordi. Nessuno ascolta chi, ne riesce a sentirsi. Quel che conta è dire la propria, senza tanto pensarci. Si gesticola, si ammicca, si irride. L'inossidabile barista prepara improbabili tartine con pane raffermo, colma calici di vino, scivola tra i tavoli. La vita lo ha abbandonato più di trent'anni fa, rinchiudendolo tra quelle quattro mura, dove ha preparato milioni di tazzine di caffè ed asciugato miliardi di bicchieri. Tra qualche giorno andrà in ferie per una settimana. In Senegal dove, pare, frequenterà un corso di aperitivo voo-du. Al suo ritorno non troverà più nessuno. Tutti spariti, come per magia. Il bar non esisterà più, sostituito dalla sede del Partito dei Cazzoni, di assoluta maggioranza, dopo le ultime elezioni politiche. Il Primo Ministro, un idiota come mai si sarebbe potuto immaginare, varerà leggi incredibili. Tra quelle rimaste nella memoria collettiva, quella dei due pesi e trecento misure e l'altra sullo sterminio di massa dei radicali liberi. Il Ministro della Cultura, un semi-analfabeta laureatosi ad Harvard corrompendo, con un centinaio di pinte di birra, un pacifico studente appena insignito, instaurerà la Legge del Menga presso tutte le scuole pubbliche e private ed il ritorno di penna, calamaio e carta assorbente per favorire la bella grafia. I computers saranno dati alle fiamme, Internet bandito ad esclusione, naturalmente, di tutti i siti porno, considerati utilissimi alla educazione e formazione delle giovani generazioni. Il Ministro della Salute, per sanare il Bilancio, vieterà alla popolazione di ammalarsi e, in accordo con quello della Difesa, passerà per le armi chiunque disobbedisca. Le farmacie verranno chiuse. Al loro posto sorgeranno Agenzie per ogni tipo di scommessa. Andrà forte quella su chi sarà il prossimo giustiziato. Il Ministero delle Pari Opportunità verrà sostituito con quello, più consono e di maggiore appeal, della Roulette Russa. A tutti verrà offerta la medesima possibilità di spararsi dopo aver fatto la fila, ordinata, agli appositi sportelli. Il Ministro degli Interni, un ex internato convinto di essere un alieno, stabilirà rapporti diplomatici con ogni forma vivente al di fuori della Terra. In particolare con il pianeta Saturno. Giove verrà escluso perchè da sempre porco. Venere e Marte avranno solo cinque giorni della settimana per essere visitati perchè, come ben si sa, di venere e di marte non si arriva ne si parte. Il Ministro delle Finanze al posto della Finanziaria preparerà settimanalmente della Finanziera, ritenuta certamente più gustosa ed accattivante. Gli altri dicasteri saranno eliminati. Al loro posto il nuovo Ministero, con Triplo Portafoglio, dello Sperpero. A dirigerlo verrà chiamata una Signora, tra quelle elette, nota per il suo rapporto compulsivo per gli acquisti inutili. Il Gabinetto di Governo sta vagliando i curriculum vitae delle candidate e, notizia di corridoio, si vocifera che la scelta sarà difficile. Tutte hanno ottime probabilità di ottenere l'ambito incarico. Il nuovo governo lavorerà indisturbato in eterno. L'opposizione continuamente impegnata in combattute Primarie, perennemente schierata a riccio sul fronte della confusione, sarà fotografata ed editata dalla Panini in un mai dimenticato album di figurine. Brutte. L'immagine del Leader risulterà introvabile più di quella, mitica, di Pizzaballa.
E i nostri chiaccheroni del bar che fine hanno fatto? Niente paura, si sono trasferiti nelle aiuole senza fiori dei giardinetti pubblici, si portano il vino da casa, continuano a discutere senza dire mai niente.
L'unica cosa di cui sentono malinconicamente la mancanza sono le mitiche tartine di pane raffermo dei bei tempi andati, ma, in fondo, non saprebbero più che farsene visto che una legge dell'ultima ora ha proibito l'uso delle dentiere.  

sabato 26 febbraio 2011

Antica Macelleria Goffredi.

 Attilio avrebbe dovuto controllarsi. Invece no. Girava come un invasato case abitate da donne sole saltando da un letto all'altro. Corteggiava ragazzine e signore mature, loro si lasciavano andare e lui non smetteva di scoparle. Di ognuna si innamorava e le sue conquiste contraccambiavano mettendoci passione. Lasciava piante ornamentali su tavolini, scriveva frasi infuocate su specchi da bagno utilizzando i loro rossetti più rossi, slacciava reggiseni strappando mutande cantando canzoni composte poco prima. Non dormiva quasi mai. A volte ne vedeva tre per notte. Usciva da una e poco dopo suonava il citofono o il campanello di un'altra. Gli aprivano tutte, magari lamentandosi un poco dell'ora tarda. Spesso in pigiama venivano a riceverlo sulla porta, sbadigliando, chiarendo subito che il giorno dopo avrebbero dovuto alzarsi presto, chi per lavoro, chi per studio e quindi " Va bene, entra, ma solo cinque minuti", ma, appena dentro, ancora oggi nesuno sa spiegarsene il motivo, cedevano. Parlava accarezzandole, con le parole,  con le mani, con la lingua, con i denti e tutto si dilatava, il tempo, il sesso, la felicità. Al mattino, mentre fuori la vita ricominciava, alla luce filtrata dalle persiane, le osservava riposare contento di poterle guardare. Poi si alzava mentre loro ancora dormivano, si infilava nella doccia, lasciava un messaggino o una piccola poesia e silenziosamente usciva dalla loro vita.
Tutto andava bene. Le donne sole erano un po' meno sole. Gli amici lo invidiavano. I suoi racconti li arrapavano. Lui li irrideva con bonarietà, definendosi nuovo don Giovanni, brillante eroe in un mondo di uomini spenti.
Finchè, per la prima volta, si invaghì di una donna sposata. Si chiamava Marianna ed era la moglie di Goffredo il titolare della rinomata Macelleria Goffredi, da sempre la più gettonata nella città, nota a tutti come la boutique della carne. L'uomo era famoso per l'abilità con cui disossava un qualsiasi animale nonchè per la velocità e la precisione con cui ne tagliava abilmente le carni. Altresì noto per la sua idiosincrasia avverso le parole e per una peluria eccessiva sulla schiena, da sempre, era soprannominato l'Orso. Attilio parlò con gli amici di questa sua nuova passione e della volontà di coglierla. Questi lo sconsigliarono ritenendo l'Orso particolarmente pericoloso. " Ok " disse Attilio " è alto quasi due metri, tutto muscoli e poco cervello ma, di lui, si dice che, in fondo, sia un buono. Pare che non s'incazzi nemmeno quando perde a scopone, figuriamoci per una partita scopa." Così dicendo, dopo aver salutato tutti con una strizzatina d'occhio, si allontanò sghignazzando. Nei giorni successivi corteggiò la signora Marianna con tutte le arti amatorie di cui disponeva finchè questa cedette alle lusinghe. Fissarono l'appuntamento amoroso la mattina successiva. Lei lo rassicurò. Il marito sarebbe uscito presto per aprire il negozio e non avrebbe fatto ritorno fino all'ora di pranzo. Attilio si appostò sotto casa del macellaio e quando lo vide attraversare la strada per salire in macchina, mettere in moto e partire verso l'insanguinata destinazione, si fregò le mani e corse a suonare il campanello. Una voce flautata lo invitò a salire sino all'ultimo piano. Quando l'ascensore si fermò e le porte si aprirono, lei era sull'uscio, seminuda, che lo aspettava. Appena dentro Marianna chiuse a doppia mandata e lo spinse in camera da letto. Dopo un attimo erano completamente avvolti nelle spire del piacere. Purtroppo durò poco. Goffredo stava per fare il suo rientro tra le mura domestiche avendo dimenticato la Settimana Enigmistica, comprata il giorno prima, di cui era accanito appassionato e con la quale ammazzava i tempi morti tra un cliente e l'altro. I due, travolti dalla passione, non si accorsero di niente. Non udirono la chiave che girava nella toppa, ne i pesanti passi dell'Orso. Questi, invece, fiutò qualcosa che non andava. Quando li sorprese avvinti tra le lenzuola da poco abbandonate, emise un grugnito che molti degli abitanti del quartiere ricordano ancora con terrore. Poi scese il silenzio. Poco dopo la moglie fece il giro del vicinato per scusarsi del disturbo causato, spiegando che il marito quando, insomma, se mi è concesso, godeva, si lasciava andare, a volte, a momenti di eccessiva espansione vocale e che avrebbe fatto in modo che ciò più non accadesse.
La rinomata Macelleria Goffredi, quella mattina, aprì leggermente in ritardo ma fece affari d'oro. I clienti, il giorno dopo, si complimentarono per l'ottima qualità della carne. Una anziana signora pretese di conoscerne la provenienza. Goffredo rispose che si trattava di razza rara. Per un po' sarebbe stato difficile riaverla ma presto, grazie all'abilità della sua signora nell'utilizzare Internet, probabilmente ne sarebbe giunto un'altro capo e, appena macellato, messo in vendita. L'anziana ne prenotò subito due fettine e volle pagarle in anticipo. L'Orso, dopo aver risolto un difficile rebus, alzò il telefono e fece il numero di casa. Dall'altro capo rispose la moglie. " Marianna, ciao. Datti da fare. I clienti premono."
                

giovedì 24 febbraio 2011

Sembrava la fine del mondo.

.."Eh, già..sembrava la fine del mondo..ma sono ancora qua. Ci vuole abilità. Il freddo quando arriva poi va via..." la canzone di Vasco riempie la stanza. Entra nella testa, gira forte nel cuore. Anche lui è sempre in bilico. "Il cuore che batte più forte." Condivide. "Non c'è niente da cambiare, l'odio, l'amore." Anche lui è ormai vaccinato, apprezza ed usa la fantasia ed ha deciso di riprendersi la vita che vuole. A volte si arrende alla malinconia ma è ancora qua, con la vita che va e non va e l'anima che si pente metà e metà. " Eh, già..e allora che si fa..eh, già..Più giù, più su..più giù, più su.." Anche lui non ha mai venduto l'anima al diavolo, anche lui, da tempo, ne ha confezionato un bel pacco regalo. Ha pianto, ha riso, ed ha capito che "la notte a da passà". Ripensa a tutto quel freddo, a tutte quelle lacrime, alla tentazione di vendersi davvero al diavolo. Tutta quella solitudine, quel mare grigio d'inverno, quella voglia di attraversarlo a nuoto vestito, con una pietra al collo, di notte, al buio. Per scomparire, per allontanarsi, per morire. "Eh..già..Sembrava la fine del mondo.." Ma non lo è stata. C' è voluta tutta la sua abilità nell'inventarsi un'altra poesia. Ora il cuore batte più forte, anche se la vita, come sempre, va e non va. Ora riesce di nuovo a riderne. Niente odio, solo amore. Si l'anima ogni tanto si arrende ancora alla malinconia ma non se ne preoccupa anzi gli piace. Sempre è stato così. Normale. " Eh, già..sembrava la fine del mondo..". Hai proprio ragione Vasco, vecchio rocker cazzone, quanto sono importanti quelle quattro semplici parole e, se non ti spiace, per una volta rubo e le faccio mie " Io sono ancora qua!".                

mercoledì 23 febbraio 2011

Nel blu dipinto di blu.

File:Dendrobates azureus (Dendrobates tinctorius) Edit.jpgDopo il diploma di scuola superiore ad indirizzo Tecnico Commerciale, conseguito con infamia e senza lode, decise d’iscriversi alla Facoltà Universitaria di Farmacia, causa travolgente passione per una mora dagli occhi blu, figlia  del farmacista  del quartiere dove abitava. Superò brillantemente il primo esame , Farmacopea nelle disfunzioni erettili, con una accurata tesina su di un nuovo farmaco che avrebbe stravolto le leggi della Fisica Idraulica ridando nuovo vigore a corpi cavernosi che nulla avevano più di cavernicolo. Ciò che colpì gli esaminatori fu la cocciuta insistenza  sul colore da dare alla meravigliosa pillola, il blu. Gli risero in faccia ma gli diedero un bel trenta per ripagarlo del buon umore che aveva portato nell’austera aula. Irritato dalle blandizie a cui era stato sottoposto e incurante del voto lasciò nei cessi dell’Ateneo i fogli riportanti il suo lavoro di ricerca. Furono ritrovati anni dopo da un laureando con problemi d’intestino che divenne in breve tempo ricchissimo. La sua carriera di studente universitario finì poco dopo quando scoprì che la ragazza dei suoi sogni si era concessa ad un peloso nerboruto idraulico. Distrutto dalla delusione prese a calci l’intera Facoltà e, scoprendosi portato, si diede al football. Divenne così una promettente mezz’ala, dal fiato un po’ corto ma dal tiro debole ed impreciso, di una delle squadre della città.. Non essendo particolarmente tifoso di nessuna, aveva scelto quella che, secondo lui, aveva la casacca più bella: blu intenso traversato da righe orizzontali multicolori. Ancora una volta il blu aveva colpito. Le righe no, per lui erano solo un inutile optional. Alla prima partita cui venne convocato, per la contemporanea mancanza di dieci titolari e l’esaurimento di tutte le riserve, gli venne consegnata la divisa completa di pantaloncini e calzettoni e lui, appena la ebbe tra le mani, strappò via le strisce colorate pretendendo che i compagni facessero lo stesso prima di scendere in campo. Sfortunatamente passava di lì, proprio in quel infausto momento, il capo degli ultrà della tifoseria più accesa che, erroneamente interpretando il gesto come offensivo verso i colori sociali, gli ruppe entrambe le gambe. A seguito di questo increscioso episodio decise di lasciare il calcio giocato e passò a quello ingessato. Quando lo rimisero in piedi si ritrovò con uno degli arti inferiori più corto di sei centimetri, a causa del quale la sua camminata risultava alquanto sbilenca ma stranamente sinuosa. Ne rimase affascinato a tal punto da decidere di intraprendere la carriera di ballerino professionista di tango argentino. Grazie ad un corso per corrispondenza ed ai consigli di una vecchia zia sorda riuscì a raggiungere un discreto grado di preparazione e, poco dopo, si presentò ai Campionati Nazionali di Ballo Figurato Sudamericano. Come compagna di danze scelse una signora zoppa di lontana origine andalusa, normalmente svolgeva attività all’aperto, di notte, sotto le stelle, scaldandosi al fuoco di grossi copertoni usurati donati da generosi camionisti di passaggio, che accettò di buon grado in quanto, per quella sera, le previsioni del tempo davano pioggia battente e lei non voleva rovinarsi la piega appena fatta dal parrucchiere. All’appuntamento col destino sotto forma di Bandoneon lui si presentò in completo interamente blu oltremare, capelli esageratamente impomatati e una rosa rossa incastrata tra i denti,  lei  con un succinto abito in lattice confezionato con le sue mani ed impreziosito da preservativi di varia foggia e colore. La giuria assegnò loro il 69 come numero di gara e li invitò a posizionarsi in pista. La prima prova prevedeva un tango con figure obbligatorie e loro eseguirono molto obbligati. La seconda con figure libere e loro furono molto liberi. La terza ed ultima doveva concludersi col più perfetto dei Caschè possibile e loro cascarono in un modo impossibile causando un effetto domino mai visto prima in un concorso di ballo. Vennero squalificati a vita e anche a morte se mai si fossero ripresentati. Quattro giganteschi buttafuori vestiti di muscoli ed organza li sollevarono da terra e li lanciarono in una pozza di fango, sotto la pioggia, fuori dalla  balera. Lei piangeva disperata per la piega rovinata. Lui asciugandole le lacrime vide per la prima volta il colore dei suoi occhi.                     “Blu! Cazzo..Sono blu!” urlò disperato mentre con le mani frugava nervosamente nelle tasche alla ricerca del cellulare. Quando lo trovò compose rapidamente il numero del Radiotaxi: " Presto un taxi!!! Via delle Capinere 12..si davanti alla balera. E che sia giallo, mi raccomando!"

domenica 20 febbraio 2011

Il muro.

La vita di Antonio scorreva impetuosa come un fiume in secca.
" Forse oggi mi faccio la barba." si disse guardandosi allo specchio. " Il tempo è bigio. Per la rivoluzione non è l'atmosfera giusta. Meglio aspettare la grandine e farsi un buon caffè." Si portò in cucina, preparò la moka da una tazzina, l'unica che possedeva, e la mise sul fuoco. " Che tristezza però. Mi piacerebbe tanto prepararne una da due tazzine. Vorrebbe dire avere qualcuno con cui  dividerlo il caffè. Prima o poi accadrà e quando capiterà sono certo che, dopo un paio di giorni, me ne lamenterò. La compagnia mi piace se dura giusto il tempo di un caffè."  Nel mentre la moka fece il suo dovere e il monolocale, con servizi e vista svincolo autostrada, venne invaso dall'aroma che sprigionava. Antonio prese il suo caffè triturando contemporaneamente un paio di porzioni di torta alle mele e, rinunciando a radersi, con la borsa contenente l'attrezzatura per il tennis buttata sulle spalle, aprì la porta ed uscì. In sella alla sua moto raggiunse in cinque minuti il Circolo del Tennis dove iniziò a riscaldarsi prendendo a pallate un muro. Dopo circa mezz'ora di furiosi colpi il muro cominciò a manifestare un certo fastidio restituendogli la palla contravvenendo alle più elementari leggi della fisica e della geometria. Angolazioni assurde, effetti incredibili, violenza di respinta devastante. Antonio tentava disperatamente di rispondere colpo su colpo ma il muro era bravissimo nel ribattere. La palla raggiungeva gli incroci della linea di fondo con una velocità e una precisione degne di un campione costringendolo a correre come un matto da una parte all'altra del campo, fino a che, prendendo un improvviso, sconcertante, subdolo effetto si andò ad arrestare proprio sotto linea bianca che simulava la rete. Fu a questo punto che Antonio, stravolto, si accorse del sorriso sardonico apparso sul muro. Con gli occhi fuori dalla testa e la lingua penzoloni vide due mani munite di racchettoni enormi spuntare dal cemento e altre due braccia che gli facevano il gesto dell'ombrello. Subito dopo partì una raffica di palline colorate che lo investirono buttandolo a terra. Prima che potesse rialzarsi le due manone mollarono le racchette ed in un attimo scavarono una grossa buca nella terra rossa e, dopo averlo colpito ripetutamente sulla testa pelata con una Head in titanio, lì lo gettarono seppellendolo con cura. Tutto tornò tranquillo e il muro ridivenne muro ma con una scritta, rossa su sfondo verde, a caratteri cubitali che prima non c'era:  FIN CHE C'E' VITA C'E' SPERANZA. E' QUANDO SI MUORE CHE SONO CAZZI AMARI!

giovedì 17 febbraio 2011

Crash in event of fire.

" La vita è uno stato mentale. Già. Ma quando vivi in uno Stato mentalmente malato che vita è? " Questo pensiero gli girava da un po' di tempo nella testa ed ora davanti alla scritta " Crash in event of fire " posta in bella evidenza sulla teca trasparente, contenente un idrante e un estintore, appesa davanti ai suoi occhi, gli venne un'idea. " Ecco la soluzione." si disse " Rompere in caso d'incendio!" quasi urlò " Ma certo bisogna rompere, spaccare qualcosa per spegnere questo rogo terribile continuamente alimentato da tutta la volgarità che ci circonda." Parlando a mezza voce si avvicinò ad una signora che, nervosamente seduta nella sala d'aspetto, aspettava notizie di qualcuno entrato nel Pronto Soccorso. " Mi scusi, Signora. Vorrei domandarle se anche lei non percepisca una certa puzza di marcio in questo Paese, in quello che ascolta e vede ogni giorno, ad esempio, in televisione. Se, anche  lei, provi un senso di nausea per via di tutto quel vociare assurdo in certi programmi, o anche per la sola, continuata, becera esposizione del corpo femminile ad uso e consumo di teleutenti guardoni e maniaci. Come può, signora, sopportare ore ed ore di talk show dove si dicono milioni di parole senza mai dire niente. Gentilmente le chiedo di dirmi se anche a lei, ogni tanto, non venga in mente di rompere quel vetro che la separa, ogni giorno un po' di più, dalla realtà delle cose, di ficcarci dentro un potente idrante e spegnere, una volta per tutte, il fuoco della stupidità?" La signora, sulle prime rimase sorpresa, poi si dichiarò concorde. Allora lui la prese per mano, l'aiutò ad alzarsi e le disse " Bene. Ora siamo in due. Vediamo se riusciamo a trovare qualcun'altro che abbia voglia di unirsi a noi." Tenendosi per mano si incamminarono verso un signore che stava seduto sulla panca di fronte intento a leggere un quotidiano e gli esposero la questione. L'uomo sorrise, ripiegò il giornale, prese la mano libera della signora e si unì agli altri due. Ora erano in tre e disponendosi in fila indiana si spostarono sull'altro lato della sala. Qui, in piedi appoggiati ad una parete, due ragazzi li osservavano. Quando il piccolo corteo gli fu di fronte ed il capofila pose la domanda, senza esitare anche loro si unirono. Dopo un'ora la fila era già lunghissima, formata da un centinaio di persone. Una di loro, una giovane infermiera, mostrava un cartello appeso ad un ombrello " Crash in event of fire! La vita è uno stato mentale e noi vogliamo che sia quello giusto!" Incredibilmente il corteo divenne nelle ore e nei giorni che seguirono sempre più numeroso, colorato, allegro. Dopo una settimana nessuno riusciva più a calcolarne con certezza l'entità. Ormai l'idea aveva superato i numeri ed ogni città del Paese era felicemente coinvolta da essa. Quando, il mese dopo,  caddero Governo e vassallaggi vari il mondo applaudì e fece sua l'idea. Quella frase divenne il simbolo di altre pacifiche ribellioni in tutti i Paesi mentalmente malati. Da allora la volgarità, l'arroganza, la violenza, i Bravi ed i Don Rodrigo di ogni Terra vennero banditi, emarginati, dimenticati.
" La vita è uno stato mentale. Già, proprio vero."
" Crash in event of fire."
Così fantasticava, dopo aver letto quella scritta sulla teca del kit antincendio, osservando la signora che , seduta nella sala d'aspetto, nervosamente aspettava notizie di qualcuno, forse una amica o un parente ricoverato nel Pronto Soccorso.
" Crash in event of fire." Ripeteva continuamente dentro di se come fosse un mantra.
" Lo so, è solo un sogno, un'utopia. Però che bello sarebbe!" pensò, infine, sorridendo.
" Mi scusi Signora, permette?".

mercoledì 16 febbraio 2011

La vie en rose.

Il maggiordomo fece il suo ingresso nel grande salone portando sulla testa un enorme vassoio d'argento pieno di semifreddi alla albicocca a forma di tetta di giunonica taglia con una amarena Fabbri a mo' di capezzolo. Seduto intorno ad un tavolo su sanitari in oro zecchino l'intero Gabinetto del Governo ascoltava il Capo. Sul grande schermo SuperFull HD dagli infiniti pollici sorretto da dodici modelle nude andava in onda il Festival di Sanremo. Le manone del Ragazzo di Monghidoro accarezzavano il sedere di Belen che con una Corona in testa si proclamava Reginetta del Back dopo aver terminato il suo numero di Tango con un improbabile caschè tra le braccia possenti di un vetusto tanghero raccolto da chissàchi in un deposito di rifiuti organici argentini. I Ministri su invito deciso del padrone di casa applaudirono selvaggiamente, battendo contemporaneamente i piedi suolati di cuoio profumato. Sull'enorme barbecue posto al centro della sala i resti carbonizzati di alcuni magistrati milanesi passati allo spiedo cantavano, perfettamente intonati ma con voce piuttosto roca, Uno su mille ce la fa. Nel villone avvolto da nebbie funeste l'aria era pesante ma come sempre piuttosto allegra. Il Lambro, appositamente dirottato dopo opportuna bonifica e prosciugatura, portava da quelle parti un fiume di Champagne. A tutti gli abitanti del luogo era stato donato un calice con le iniziali del Re incise in similoro da Maestri Vetrai di Murano affinchè potessero abbeverarsi alla fonte del successo, almeno una volta nella vita, senza provare vergogna. Chi veniva sorpreso dalle Guardie del Re appostate sulle sponde del torrente spumeggiante, a bere due volte, veniva subito passato per le armi per mano di un plotone di escort rifatte vestite di niente. Alcuni, non avendo mai visto una donna in tutta la loro precaria esistenza, si offrirono volontari per la fucilazione chiedendo, come ultimo desiderio, un po' di Bunga Bunga. Ci fu un rapido consulto del Consiglio dei Ministri e la richiesta venne accolta. Venne rapidamente preparata una leggina ad personam ed i questuanti furono accontentati. Il Ministro degli Interni si preoccupò personalmente delle operazioni e quando tutto fu finito, con piena soddisfazione del popolo, la riunione riprese. Urgeva andare avanti nell'ordine del giorno. Il Paese fremeva di passione, ci volevano risposte, prese di posizione consapevoli su argomenti e problemi scottanti che tanto preoccupavano gli elettori. Si passò così al punto più importante, quello della scelta delle canzoni da mandare avanti nella competizione festivaliera. Il Ministro della Cultura, dopo aver analizzato rima per rima tutti i testi, disse la sua ma nessuno lo ascoltò. Il Ministro delle Forze Armate propose di scartare il Barbarossa in quanto facinoroso guerrafondaio ma qualcuno lo zittì spiegandogli che non si trattava del noto personaggio storico ma di un umile cantante de' Roma. Appena la Capitale venne nominata alcuni esponenti leghisti del Governo saltarono in piedi inneggiando al Federalismo e a Roma ladrona. Ci volle l'intervento di una trentina di tronisti per riportare la calma nella surriscaldata assemblea. Alla fine il Capo si alzò   sbattendo i pugni sul tavolo. Nella confusione nessuno se ne accorse, solo il Ministro più basso ci fece caso ed urlando stizzito richiamò gli altri ad una maggiore attenzione e rispetto verso chi, da anni, distribuiva a tutti il pane. Accorsero alcune ancelle in giarrettiera portando con se un predellino dorato sul quale il Re venne issato di modo che tutti potessero vederlo ed in un silenzio di tomba così parlò. " Propongo, meglio ordino, che tutte le canzoni dei cantanti maschi in gara vengano eliminate." applausi convinti " Quelle interpretate dalle femmine saranno riascoltate da un'apposita commissione capitanata da Emilio Fede. Quelle ritenute belle verranno spogliate in mia presenza ed io, e solo io, deciderò la vincitrice." L'editto venne accolto dal Consiglio con enfatico entusiasmo. A questo punto il Re chiamò a se il Ministro della Sanità al quale ordinò un T.I.R. di Viagra per far fronte all'onerosa selezione. Il Ministro della Giustizia portò un bilancino su cui depose della polvere bianca, unitamente ad incenso, oro e mirra per farne dono al Re. Sullo schermo apparve per un attimo un giovane uomo che si diceva il Sindaco della Città dei Fiori. Nessuno lo riconobbe ma molti lo confusero con il rimpianto ex Ministro Scajola. Vennero così ricordati, bevendo il bicchiere della staffa, i bei tempi andati quando qualcuno poteva regalarti a tua insaputa un appartamento, una barca, un'isola caraibica. Poi il convivio si sciolse, la trasmissione volgeva al termine. La Protezione Civile si incaricò di recapitare alcuni mazzi di garofani alle Signore del Festival su preciso ordine del Capo. Questi infine, poco prima della sigla di chiusura, telefonò al presentatore e, in diretta, si fece passare il Direttore d'Orchestra. Dopo breve conciliabolo, questi alzò la bacchetta e partì l'attacco della  Vie en rose. La voce potente del Re riempì il teatro e volò in Eurovisione. Il giorno dopo ci fu il Colpo di Stato.                    

lunedì 14 febbraio 2011

San Valentino.

La Signora dalle palle d'avorio prese dal tavolo Luigi XVI un pestello in marmo databile fine '800 e lo sbattè, con una violenza di cui non si sapeva capace, sulla riccioluta corvina testa dell'antiquario. Questi, con il cranio sfondato, prima cadde piegandosi senza un lamento sulle ginocchia per poi abbattersi sul fianco sinistro privo di vita. Tre ore dopo il fotografo della scientifica lo ritrasse come fu trovato, con gli occhi sbarrati e sorpresi di chi non sapeva di aver fissato l'appuntamento con la morte, i capelli affogati in una pozza di sangue e petali di rosa a forma di aureola. Un'immagine quasi sacra, si sarebbe potuto dire, se non si fosse trattato di un omicidio. Il commissario disse " Questa morte è frutto di un amore deriso. Non si tratta di gelosia. Chi ha ucciso lo ha fatto per non essere stata amata mai. Condanno ogni assassinio ma quando succede per amore quasi sempre mi commuovo."
La sera stessa, in un noto ristorante del centro farcito di rose per la Festa di San Valentino, la Signora dalle palle d'avorio venne arrestata. Agli Agenti che la invitarono gentilmente ad alzarsi e seguirli chiese solo di poter finire il dolce. Dopo una giornata così amara non poteva farne a meno. Appena giunta in Questura fu accompagnata dal magistrato incaricato del caso. Questi la fece accomodare, le offrì una sigaretta e le chiese il motivo di un gesto così efferato. Lei rispose che si era trattato solo d'amore, di un gesto d'amore. Lui disse " Comprendo, Signora. Ha tutta la mia ammirazione ma devo arrestarla." Lei disse " Va bene. Capisco. Ognuno fa, nella vita, il suo. Anch'io finalmente l'ho fatto ed ora mi sento leggera. L'amore è un filo sottile, resistente, d'acciaio ma, a volte, si spezza. Le do i miei polsi, mi metta pure le manette. Non sentirò alcun dolore, da oggi sono libera. Non esiste costrizione più grande ed angosciante di un amore ferito. Il carcere non mi spaventa, l'ho già conosciuto. Andiamo, la notte è piena di stelle."
Khaled mise nello zaino la fotografia che lo ritraeva sorridente abbracciato a Noah. La notte, anche qui, era piena di stelle e lei lo aspettava. Incontrandosi, poco dopo, nella piazza della grande fontana si scambiarono un lungo elettrizzante bacio prima di incamminarsi decisi verso il porto. Quando arrivarono al molo videro tanta altra gente immersa in un'aria di pesante attesa. Giunsero dal largo alcune piccole imbarcazioni che si fecero carico di loro e di tutte quelle anime fuggenti. La carretta del mare, ormeggiata nel mezzo della baia, li aspettava. Quando il loro gommone affiancò la murata qualcuno lì invitò bruscamente ad appendersi ad una scala di corda e a salire. Noah ebbe paura, Kahled la rassicurò. " Vai. Non temere, io sono qui. Il nostro amore è così grande, più grande di tutto e ci porterà lontano, in un'altro mondo dove tutto sarà possibile." Così dicendo la prese tra le braccia e si arrampicò veloce fino al ponte. In mezzo alla calca di facce tremende trovarono un angolo e lì si sistemarono. Kahled, coprendo Noah con una coperta ed il più bello dei sorrisi, la strinse a se indicandole il cielo stellato. Il barcone salpò ed un paio di passeggeri decisero di rinunciare gettandosi in mare. Mentre la nave si allontanava li videro nuotare nella scia bianca e spumosa. Quando uscirono in mare aperto le onde erano enormi, la barca saltava, i visi intorno a loro si fecero così bianchi da illuminare la notte. Noah, tremando di freddo e paura, si strinse ancora più forte al suo petto. Kahled sentiva battere il cuore ad un ritmo infernale e, per la prima volta, pensò di essersi sbagliato. Nel farle l'ennesima carezza si accorse di una lacrima che scivolava lenta lungo la sua guancia. Nel raccoglierla con la lingua temette che il loro amore, così grande, non sarebbe bastato. Nella notte di tutti gli innamorati del mondo una nave carica di disperati arrancava violentata da marosi impietosi. Quando colò a picco, ne ebbe la certezza.

martedì 8 febbraio 2011

Scapecchia.

Scapecchia 'O Poeta, in una fresca sera di fine estate osservando rapito la montagna, disse: " Ah, che verdura!".
Pigramente seduto al solito tavolo d'angolo nel dehor dell'unico bar del paese filosofeggiava tracciando aste su di un quaderno a quadretti rimastogli dai tempi delle elementari frequentate con profitto per dodici anni ottenendone la licenza per sfinimento della maestra. Per noi, giovani ed inesperti della vita, lui era il faro. Le sue frasi, come traccianti luminosi, ci indicavano la giusta via, il suo alito riusciva a farcela percorrere di fretta. Aveva pensieri e parole per tutti anche se spesso intorno a lui non c'era nessuno. Il vuoto lo assillava. Un bicchiere vuoto, poi, lo disturbava. " Un dito di vino non ha mai ucciso nessuno. Un vetro non colmo ammazza la fantasia." diceva alzando un poco la voce e contemporaneamente strizzando l'occhio destro, l'unico che aveva. Divenne 'O Poeta il giorno che dalla stalla di sua nonna scappò il maiale. Quel pomeriggio, come sempre, stava riposando nel pagliaio quando udì l'anziana urlare: " 'O maiale!! 'O maiale!!! Oe, venite, currite! Scapecchia! Cuorno e bicuorno! Do' cazzo stai!" Lui con gli occhi chiusi puntati nel cielo, una spiga di grano tra i denti, trasalì, poco poco, piano piano. Vide passare l'enorme animale sollevando nuvole di polvere lungo la strada sterrata e in discesa, subito dietro la nonna che ruzzolava imprecando contro tutti i Santi del Paradiso.  Colto da improvvisa ispirazione compose in un attimo la prima poesia ed a braccia tese e mani aperte, rivolgendosi al sole, così recitò: " 'O maiale! 'O maiale! Currite gente! D'isso niente se ietta e sape che cuorno e bicuorno lo aspetta. E mo' che a miezzo au cielo 'na muzzarella tiene a fuorma de la chiu bella stella, io sto accà e te canto, maialo, nun fa scuorno, tuorna au palo."
Passarone due ore ed il suino venne finalmente ricatturato e ricondotto a bastonate dalla nonna alla stalla. Nel mentre " L'ode al maialo " fece il giro del paese. Scapecchia, la sera, al bar, venne insignito dal Sindaco con una corona d'alloro e nominato  a furor di popolo 'O Poeta. Seguirono copiose libagioni ed infinite pacche sulle spalle. 'O Poeta, a seguito delle mazzate ricevute, divenne curvo e leggermente gobbo. Lui, in un primo momento, ci rimase male, poi la notte, nel suo letto al lume fioco di una candela, sfogliando una vecchia enciclopedia vide un ritratto di Giacomo Leopardi con sotto la didascalia " Sommo poeta.". Si trovò somigliante e ne fu contento. Pungolato dalla vicinaza con il Sommo si mise alacremente all'opera sviluppando il tema del maiale in mille versi. Dopo anni pubblicò a sue spese un libricino di liriche che intitolò "Setole." col quale vinse il Primo Premio del Concorso di Poesia da lui stesso indetto in occasione della festa del Santo Patrono di Senerchia. La nonna per festeggiare l'evento propose di macellare il maiale. Questi non sapendo nulla di poesia si dichiarò contrario. Non ci fu nulla da fare. Il Natale dopo tutti i paesani ebbero in dono un salame firmato Scapecchia.              

lunedì 7 febbraio 2011

Il girello e la matrioska.

Aspetterò che passi l'ultimo dell'anno. Poi non mi resterà che aspettare che passino i successivi  trecentosessantacinque giorni. Così pensava tra se la Signorina Mary spingendo il suo girello sulla grande terrazza pavimentata a mattonelle rosse dissestate in quella fredda mattina di fine dicembre. Da qualche tempo per muoversi utilizzava quell'ausilio prestatole dalla ASL. Dopo iniziale difficoltà aveva imparato ad usarlo e le era ormai diventato indispensabile per gli spostamenti nella casa. A volte, seduta sulla poltrona in similpelle color tabacco sulla quale passava parecchie ore della sua giornata guardando con interessse una televisione spenta, ricalcando schemi di parole crociate di vecchi numeri della Settimana Enigmistica già compilati o risolvendo, con discreta abilità, rebus già risolti, gli parlava. Era diventato oltre che il suo unico mezzo di sostegno anche il confidente e compagno di chiacchiera più fidato. Da anni viveva sola in  compagnia di una statuaria badante ucraina di cui non capiva la lingua. Questa svolgeva le faccende di casa in cambio di una piccola paga e della concessione di abitare nell'appartamento che pur minuscolo le aveva dato la possibilità di sistemare nel piccolissimo salotto una matrioska gigante dove la signora venuta dal gelo riusciva a dormire, la notte, in piedi. I tempi erano quelli che erano e non si poteva andare troppo per il sottile. Bisognava accontentarsi e poi la bambola di legno dipinto era stata imbottita con la lana di un vecchio materasso recuperato dalla cantina e l'odore di vino di cui era impregnata favoriva il sonno. La signorina Mary non si era mai sposata ne aveva avuto figli nonostante da giovane fosse stata piuttosto volitiva e avesse avuto la possibilità di collezionare un numero impressionante di divise militari assortite, dalle quali era fortemente attratta per tradizione familiare essendo stata l'unica erede di un Generale del Corpo degli Alpini. In occasione di sfarzosi ricevimenti danzanti che si tenevano ogni sabato sera al Circolo degli Ufficiali ai quali, fanciulla in fiore, accompagnava il pennuto padre, portava sempre con se un libricino con la copertina rosso fuoco su cui annotava l'invito di ogni giovane tenente, biondo o bruno, con baffi o senza che fosse, prima di lanciarsi in sfrenate danze che si concludevavno sempre, a seguito di precise, calcolate piroette, in qualche giardino, dietro a qualche siepe, su qualche scomoda panchina. Quel Carnet da ballo lo possedeva ancora e quando lo sfogliava scavando nei ricordi, non riusciva a spiegarsi il perchè così tante pagine fossero state strappate. Ormai quasi centenaria, completamente rifatta da un rinomato chirurgo plastico che aveva fatto esperienza sui campi di battaglia della Seconda Guerra Mondiale che però negli ultimi tempi difettava in precisione, causa un forte tremolio alle mani dovuto a Parkinson in stato avanzato. I recenti plastici ritocchi non erano riusciti benissimo e la signorina Mary guardandosi nello specchietto di un antico portacipria in argento stentava a riconoscersi. Decise così, pur a malincuore per l'affetto che la legava all'illustre luminare, di rivolgersi a qualcun'altro leggermente più fresco per i prossimi restauri. Ne parlò al girello che la ascoltò con attenzione ed approvò senza dire una parola. Soddisfatta della conversazione la signorina Mary chiamò l'ucraina suonando il campanellino che portava al collo appeso ad una collana di perle splendenti leggermente opache. La donna accorse camminando piano e disse " Da? ".    " Buongiorno stramaledetta comunista. " sibilò la Signorina Mary " Vorrei una tazza di the. Al limone. Grazie." La paziente, testarda allieva di mille giornate inutili trascorse nel tentativo di insegnarle l'italiano ridisse " Da." e si diresse ciabattando in cucina. Ne riemerse dopo poco con un tazzone fumante di Bolsh, una zuppa maleodorante di barbabietole, piatto comune ad ogni angolo della più sperduta steppa, che posò con orgoglio sul tavolino tarlato Luigi Filippo posto vicino alla poltrona. La signorina Mary si accorse subito dell'errore e urlò disperata " Un the! Dannazione! Ho detto un the! " L'ucraina sorrise serafica, disse un'altro " Da." e si infilò nella matrioska per la pennichella quotidiana. La Signorina Mary si alzò maledicendo tutti gli Zar di tutte le Russie e si avviò verso la terrazza guidando l'amato girello. " Dio come è difficile capirsi, oggi, a questo mondo." disse avanzando " Fortunatamente ci sei tu che mi comprendi bene. Dai andiamo fuori a fare due passi." Il girello si mosse e l'accompagnò scivolando sobbalzando dolcemente sulle mattonelle rosse. Poi, d'improvviso, prese una velocità assurda e trascinò la signorina Mary sino al bordo della vasca in pietra dove nuotavano pigramente tra ninfee colorate parecchi pesci rossi. Due ore dopo, Olga la russa come la chiamava la Signorina Mary, si accorse che la medesima era misteriosamente scomparsa e che i pesci nella vasca erano ingrassati in un modo spaventoso. Come niente fosse tornò in casa, fece le valigie e con la matrioska sotto ad un braccio mezz'ora dopo era già all'Ufficio di Collocamento in cerca di un'altra sistemazione. Poco prima, chiudendosi dietro le spalle l'uscio pensando con sincera commozione alla Signorina Mary, disse "Da." Per l'ultima volta.

mercoledì 2 febbraio 2011

Graffi.

Altrove.
Dove è il sole.
La compagnia di una gatta selvatica mi basta.
Non cerco altro che i suoi graffi.

martedì 1 febbraio 2011

Giorgio.

Giorgio scese dalla Duecavalli come un reduce da sabbie mobili e con una sciarpa di bisce intorno al collo. Il carrozziere lo aspettava. Da qualche tempo era diventato il suo miglior cliente e, conoscendone ormai bene la stravaganza, non fece una piega. Questa volta si trattava delle portiere. In mattinata, dopo l'ultima gita in una campagna annientata dal fango, creato dalle torrenziali piogge cadute nei giorni precedenti, alla disperata ricerca di funghi, Giorgio aveva deciso di portare l'auto ad un lavaggio. Nel mentre che gli addetti si prendevano cura del suo amato mezzo di locomozione, decise di andare al bar vicino per un caffè e due chiacchiere. Il caffè lo bevve in un attimo, le chiacchiere durarono, come sempre, un po' di più. Quando fece ritorno i lavatori avevano un'espressione contrita mentre gli indicavano l'auto perfettamente pulita ma con entrambe le portiere accartocciate. Avevano dimenticato di chiuderle dopo aver tolto parecchia polvere, alcune radici di alberi secolari e un cinghiale maschio di 120 Kg dall'interno dell'abitacolo. Quando l'infernale macchinario si era fermato e le spazzole avevano smesso di girare si erano accorti della tragedia. Piangendo mossi da vera commozione gli consegnarono le chiavi e il conto, omaggiandolo, a parziale rimborso, di un collare in acciaio e cuoio per cinghiali. Lui, anche in questa occasione, riuscì a sorridere. Ringraziando si pose alla guida della vecchia Citroen dopo aver fatto accomodare l'ungulato, peraltro alquanto contrariato per la vistosa rigonfia cotonatura del pelo causata dall'asciugatura eccessivamente maniacale che aveva dovuto subire poco prima dal più scrupoloso degli addetti all'auto lavaggio, un pastore Masai giunto pochi giorni prima dalla lontana Africa in cerca di fortuna. Questi gli fece, oltre che le sue personali e sentite scuse, dono della sua lancia da caccia casomai avesse mai fatto un salto nella Savana dell'Altopiano. La carrozzeria di sua fiducia era poco distante. La gloriosa, fedele utilitaria compagna di tante avventure conosceva bene la strada e, ormai, poteva arrivarci anche da sola. Un paio di curve prima, lungo un rettilineo che correva accanto ad un prato, Giorgio notò un mandorlo in fiore. Preso da improvviso romanticismo frenò dolcemente ed accostò, fermandosi a guardarlo. Una leggera brezza ne muoveva lievemente i rami fioriti avvolti dalla  luce calda di una bella giornata di inizio Primavera. Gli venne in mette il suo ultimo amore cui aveva promesso due sere prima fiori bellissimi. Non riuscendo più a riaprire la portiera dalla parte della guida decise di scendere dalla parte opposta. Appena mise i piedi e quello che vi era attaccato sopra al di fuori della vettura, il cinghiale, nonostante stesse sonnecchiando pigramente sul sedile posteriore, lo vide scomparire in un attimo. Preoccupato si affacciò dal finestrino. Sotto c'era un fossato di almeno quindici metri di profondità pieno di melma. Di Giorgio nemmeno una bolla. Decise di abbandonarlo definitivamente al suo destino, scese e, sicuro del suo appeal, appoggiandosi lascivamente alla due cavalli prese a fare l'autostop. Passava di lì un macellaio gay a bordo di una Duna ocra che lo tirò su. Fu amore a prima vista. Dopo un periodo breve ma intenso di fidanzamento convolarono a nozze. Le cronache li danno ancora oggi felicemente uniti in una isola deserta dell'Oceano Indiano. Di Giorgio non sappiamo più nulla di certo. Qualcuno giura di averlo visto su di un Altopiano intorno al confine fra Kenya e Tanzania, a bordo della sua Duecavalli, parecchio abbronzato e munito di una lancia, rincorrere un Germano Reale. Credo si tratti di un ridicolo pettegolezzo. La gente, quando non ha di peggio da fare, fantastica.