sabato 12 marzo 2011

La casa.

Quella sera, quando la grande centrale saltò in aria, lui stava ascoltando Keaton.
L’erre arrotata di Francesco Guccini si spalmava nelle stanze dando timbro e colore ad una storia di jazz e rimpianto.
La casa dove si trovava l’aveva comperata il giorno prima. Una vera occasione.
I vecchi proprietari l’avevano messa in vendita spaventati da quella enorme, grigia costruzione che il Governo aveva deciso di piazzare proprio lì, in mezzo alla campagna, lontana quanto più possibile dai centri abitati.
Il sito era stato scelto dopo lunghe contrattazioni con gli ambientalisti, i comitati contrari al nucleare, intere popolazioni di tutto il territorio nazionale. Nessuna la voleva. Alla fine si decise per quel luogo, considerandolo l’unico possibile. Lì c’era solo quella casa antica, solitaria e sperduta in mezzo alla campagna, praticamente disabitata visto che i proprietari vivevano in città e la utilizzavano, raramente, per qualche fine settimana.
Lui di soldi ne aveva avuti sempre pochi e quella era l’unica abitazione che, con le sue risorse esigue, avrebbe potuto acquistare.
L’affare si concluse rapidamente con reciproca soddisfazione.
Il notaio, al momento di validare l’atto, gli chiese se era certo di volerla davvero e lui disse di si con un cenno del capo. I venditori, non notando il gesto e non udendo risposta, temerono che avesse cambiato idea e, senza pensarci un attimo, gli proposero un ulteriore sconto di trentamila euro che, naturalmente, lui accettò di buon grado. Alla fine la casa costò quasi niente e gli regalarono pure un paio di tute antinucleare, complete di maschera dotata di speciali filtri per respirare, praticamente nuove. Le accettò, ringraziando del pensiero, con un bonario sorriso. Le chiavi gli furono consegnate sigillate in una confezione di plastica ermeticamente chiusa.
La sera stessa fece trasloco delle poche cose che aveva ammucchiato in un piccolo magazzino di un amico, le sistemò alla rinfusa, preparò il letto matrimoniale con l’unico paio di lenzuola che possedeva ed andò a dormire.
Dormì bene. Al mattino si svegliò contento. Preparò un’abbondante colazione che consumò nel patio, riscaldato da un bel sole mattutino, comodamente seduto su una sedia a dondolo. Poi decise di prendere maggiore confidenza con la sua nuova casa. Si accorse di quanto fosse grande. Disposta su due piani, con una superficie di quasi duecento metri quadrati, disponeva di molte più stanze di quante ne aveva contate quando, un mese prima, l'aveva vista, piuttosto distrattamente, in compagnia della figlia dei proprietari. Allora aveva fretta di concludere e non ritenne necessario studiarla meglio. Il prezzo era così conveniente che si accontentò di dare solo un’occhiata, fidandosi della piantina del catasto. Ora, guardandola con particolare attenzione, la trovava veramente bella, dotata di grandi spazi luminosi, accogliente, calda. Finito il giro di perlustrazione tornò in cucina, si preparò un altro caffè e decise, subito dopo, di fare un salto al supermercato più vicino per un po’ di spesa. Il frigo era tristemente vuoto e bisognava rallegrarlo riempiendolo con qualcosa. Prese la bicicletta, non possedeva altro mezzo di locomozione, e cominciò a pedalare. Passando vicino alla centrale nucleare si fermò ad osservarla. Pareva deserta. L’area intorno era vasta e circondata da filo spinato. Alcuni cartelli segnaletici raffiguranti il simbolo delle radiazioni radioattive intimavano di non oltrepassarlo. Altri, con teschio ed ossa incrociate, avvertivano di un eventuale pericolo di morte. Non si notava alcun movimento, né persona.
Pensò che tutto era prudentemente esagerato. La centrale era stata costruita con tecniche d’avanguardia e seguendo scrupolosamente tutte le norme di sicurezza. Lo aveva letto sui giornali e ne aveva avuto conferma dai TG. Lui credeva nelle istituzioni, si fidava degli scienziati e poi, il mondo, doveva pure, in qualche modo, andare avanti.
Riprese la strada mulinando sui pedali. Percorse parecchi chilometri lungo sterrati sentieri senza incontrare nessuno. Poi giunse sulla provinciale asfaltata di fresco. Lì vide una freccia blu che segnalava il prossimo paese. Distava solo quattro chilometri.
Quando vi arrivò lo trovò stranamente deserto. Tutto era in ordine ma non c’era anima viva. L’emporio alimentare era aperto, le luci accese, gli scaffali pieni. Prese un carrello e lo riempì di quello che gli serviva. Quando si presentò alla cassa,la cassiera non c’era. Si guardò intorno e non vide alcun addetto. Aspettò cinque minuti poi decise di fregarsene, raccolse alcuni sacchetti biodegradabili dalla cesta sotto il bancone, li riempì con quello che aveva preso ed uscì. Nessuno lo fermò accusandolo di furto. Sistemò la spesa nelle due sacche montate sul portapacchi della bicicletta e tornò verso casa. Quando vi giunse, dopo un paio d’ore, era quasi sera. Entrò e si diresse in cucina. Qui posò i sacchetti sul tavolo di marmo e li svuotò uno per uno sistemando il tutto, ordinatamente, nel frigorifero. Lasciò fuori solo un tetrapack contenente succo d’arancia. Lo aprì e ne bevve un lungo sorso. Si spostò, col succo in mano, in salotto. Qui si lasciò cadere sul divano ed allungò i piedi sulla poltrona di fronte. Sorridendo felice, si disse fortunato e, pur essendo ateo, per una volta, ringraziò Dio.
Poi prese il cd di Guccini e lo mise nel lettore.                                                                                                                                                           

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