mercoledì 4 maggio 2011

La puttana guardava le nuvole.

Stilo diede un calcio alle sue notti, disegnò un graffio nel cielo e disse amen. Salì su di una barca a vela e la lasciò scivolare sulle onde. Si arrese al silenzio consegnandosi al vento.
Daria bevve l’ultimo bicchiere di vino mischiato a qualche pastiglia di troppo. Si addormentò sognando un ultimo sogno.
Maurizio curava altri curando se stesso. Non riuscì mai ha capire chi fosse più malato. Piantò un chiodo in una trave e vi appese i suoi dubbi.
Giuseppe dondolò tre giorni tra gli ulivi. Verdissime foglie gli tennero compagnia come mai avrebbe potuto immaginare.
L’angelo li perdonò tutti e porse loro la mano.
Pino guardò con terrore le sue vene, prese una siringa e la piantò in quella più grande. La corrente nel fiume, quella volta, fu troppo forte.
Gina rubò la pistola d’ordinanza al padre militare disteso sul letto. Lui continuò a dormire, lei no.
Alfredo si fece strappare la macchia dal viso. Guardandosi allo specchio si vide diverso, troppo. Le violette nel suo campo aspettarono a lungo l’acqua.
Mara tirò la lampo dei jeans e, senza biglietto, corse incontro al treno. Al bar della stazione uno mangiava un panino, un altro beveva un caffè leggendo il giornale. La vecchia puttana guardava le nuvole. La campanella suonò, il locomotore si fermò, le porte si aprirono, nessuno salì.
Un fantasma scese, posò i bagagli, si accese una sigaretta.
Aldo si definì infinitamente stanco, mise sul cappello un fiore delicato prima d’imparare a volare.
Caterina non fu mai cattiva con nessuno. Solo di se stessa non ebbe pietà.
Tino disse ciao al mondo, il mondo non lo sentì.
Giovanna fu l’ultima, quel giorno, a pagare il conto. Anche per lei, al botteghino, niente sconto.
Qualcuno, a fine sera, chiuse la cassa ed il teatro.
Poi spense la luce. 

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