venerdì 17 giugno 2011

La Cinquecento L.

La Cinquecento L bianca, con il tettuccio di tela nera aperto, era parcheggiata sotto casa, pronta a partire. Il sedile posteriore pieno di roba e, sopra, l'immancabile mazzo di garofani rossi che, al tempo, chiunque lasciasse la Riviera per altri lidi portava con se. Dopo un quarto d'ora di raccomandazioni e saluti della nonna, che gli imponeva il solito mazzetto di prezzemolo sulla pancia come rimedio, probabilmente di sua invenzione, contro il mal d'auto, sua madre si mise al posto di guida e lo chiamò: " Nino! Dai! Muoviti!".
Corse ed aprì la portiera, montò in auto sistemandosi sul sedile accanto. Lei alzò la leva del motorino d'avviamento e la piccola utilitaria, dopo un paio di sobbalzi, andò in moto. Nino sentiva le vibrazioni del motore sotto al sedere ed una grande emozione percorrergli tutto il corpo. Aveva otto anni e quello era il suo primo lungo viaggio in auto verso una destinazione sconosciuta. Più di cinquecento chilometri, una distanza che, allora, gli parve infinita.
Il posto dove erano diretti si trovava in Provincia di Grosseto, nella zona di Orbetello, in fondo alla Toscana. La sera prima, dopo aver visto Carosello, prima di addormentarsi, aveva consultato l'Atlante Geografico De Agostini annotando su un foglio a quadretti tutti i nomi delle località della zona. Sul retro disegnò una cartina stradale segnandovi le città più importanti, che avrebbero incontrato lungo la strada, evidenziandole con un cerchietto a penna rossa. C'erano Imperia, Alassio, Savona, Genova, capoluogo della Regione, Portofino, che qualcuno gli aveva descritto come un posto stupendo, La Spezia. Qui finiva la Liguria e si entrava nella Toscana, ed ecco Massa Carrara, nota per le cave da cui si estraggono marmi di gran pregio, Viareggio, Forte dei Marmi, Castiglione della Pescaia e, ancora, giù fino in Maremma, terra di cowboy nostrani, bufale e gustose mozzarelle, l'Argentario, promontorio selvaggio bagnato dal mare e, infine, la loro meta, Ansedonia.
Appena partiti la tirò fuori dalla tasca dei pantaloni e la distese sul cruscotto.
Sua madre la vide e gli domandò cosa fosse quel foglio con tutti quei segni e quelle scritte.
Glielo spiegò e lei rise forte, staccò la mano destra dal volante ed accarezzandogli la testa disse: " Una cartina stradale?Allora non ti fidi di me!" e rise di nuovo.
Sull’eco, sull’onda di quella risata il tempo è volato.
Sono accadute talmente tante cose che pare non sia successo mai niente.
Nino, da allora, non ha più disegnato carte stradali. Si è fidato solo delle stelle anche quando il cielo risultava coperto dalle nuvole ed il buio era assoluto. Ha perso così spesso la via che, comunque, una cartina non lo avrebbe aiutato. E poi, se ancora è qua, lo deve al cuore, non alla vista.
Ora, lei, non ride quasi più.
La sera, seduta accanto ad una finestra, guarda una piccola piazza deserta.
Cerca con gli occhi, con l’ansia dei vecchi, qualcosa, qualcuno che sappia raccontarle, bene, la fine della storia.
Da sotto Nino la osserva, triste la guarda guardare.
Lei alza una mano, saluta.
Lui sorride. Risponde al saluto.
Poi si avvicina alla macchina, apre la portiera, sale. Mette in moto.
Guida piano immaginandosi vecchio.
Si vede, a sua volta seduto, su di una sedia accanto ad una finestra ad aspettare, in silenzio, qualcuno che sappia raccontargli, bene, la fine della storia.
Spera solo che, quando verrà quel momento, dalla sua finestra, si veda il mare.

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