giovedì 7 aprile 2011

Lo spacciatore.

Quando una decina di agenti della squadra speciale anticrimine della polizia di stato lo fermò mentre svolgeva la sua quotidiana attività di spaccio nei vicoli della città vecchia, lui non fece alcuna resistenza. Sapeva di avere le ore contate. Gli stavano addosso da molto tempo. Lo intercettavano da mesi. Lui cambiava ogni giorno le schede dei tre telefonini che possedeva ma loro non avevano mollato mai. Seguivano i suoi spostamenti pedinandolo con perseveranza. Usavano i tracciati telefonici per avere conferme dei loro sospetti. Ogni cella della zona era monitorata continuamente. E alla fine ce l’avevano fatta. Beccato. In flagrante per giunta.  Con la roba in tasca, ed era roba buona.
“ Ok - disse sorridendo alzando le mani – Finalmente mi avete preso. Ottimo lavoro, ragazzi.”
Prima di consegnargli i polsi chiese un caffè. Nella piazzetta lì vicino c’era un bar. Lo accompagnarono. Il commissario  entrò con lui ed ordinò due espressi. Il barista si precipitò alla macchina e li preparò. Lui chiese se era possibile averlo macchiato con della panna liquida. Il barista disse di si piegando leggermente il capo in avanti e quando mise le due tazzine sulla barra bisbigliò piano un mi dispiace. Lui sorrise ringraziandolo. 
Il poliziotto fece finta di niente, pagò e disse che era giunta l’ora di andare.
Quando uscirono dal bar nella piccola antica piazzetta si era radunata una discreta folla.
 Lui alzò le braccia mostrando le manette. La gente prima si commosse poi partì in lungo applauso. I battiti delle mani rimbalzarono su ogni pietra come palline in un flipper impazzito, volando di eco in eco in ogni viuzza, angolo, androne del borgo. La notizia corse di bocca in bocca con una velocità capace solo a chi sa di vivere sempre sotto pressione, costretto a nascondersi, a fuggire, soffrire.
Il popolo degli offesi si mobilitò ed in massa accorse sul luogo del delitto.
Organizzarono un grande cerchio di braccia e, tenendosi per mano uno con l’altro, circondarono la città vecchia.
Tutte le vie di fuga vennero inibite, si poteva tranquillamente dire che neppure uno spillo sarebbe passato.
Il drappello di uomini armati scortava circospetto la sua preda, camminando piano, coprendosi le spalle, guardando in alto per il timore di essere sorpreso da eventuale fuoco nemico proveniente dalle terrazze stracariche di gerani dai mille colori.
Il cielo era meravigliosamente azzurro quella mattina. La temperatura ideale per sentirsi finalmente in vacanza.
Da ogni angolo, da ogni anfratto odoroso di muschio, visi di diverso colore osservavano.
Appena l’ultimo degli agenti era passato, sbucavano in strada mettendosi ordinatamente in fila.
Quando giunsero alla porta d’ingresso principale del centro storico la trovarono sbarrata da un’infinità di persone silenziose.
Il commissario capo capì che la partita era persa e, per evitare un inutile spargimento di sangue, ordinò ad un agente di togliere i ferri al criminale e di lasciarlo andare.
Lui, quando le manette gli liberarono i polsi, sorrise felice, soddisfatto.
Ringraziò la folla che lo aveva salvato e questa gli urlò la sua gioia.
Un bambino senegalese portato sulle spalle dal padre gli volle consegnare una lettera. Scritta in un perfetto italiano, senza errori di grammatica, diceva semplicemente che lui e gli altri bambini del posto gli erano grati per la sua attività. Una donna cinese gli regalò una rosa rossa. Un anziano il suo sigaro.
Lui, raggiante, prese tutto e, dopo avere abbracciato un po’ di gente, si infilò nel dedalo di vicoli profumati di basilico.
Prima di scomparire e rientrare in clandestinità rivolse un’ultimo sguardo di sfida al commissario capo.
Questi con gli occhi gli comunicò che non finiva qui.
Lui rispose, con tutta la luce di cui disponeva nelle pupille infuocate: capisco.
La sera stessa, il pericolo numero uno della città, lo spacciatore di pagine, era di nuovo in giro a servire i clienti.

2 commenti:

  1. questo e' un racconto,ma ho la sensazione che la realta' non sia molto distante....bravo Signor Minguzzi, bella!!!

    RispondiElimina
  2. Prima o poi ci si arriva ad una scena del genere, da queste parti.

    RispondiElimina