
martedì 30 novembre 2010
Edoarda.

lunedì 29 novembre 2010
Stella cadente.

mercoledì 24 novembre 2010
La telefonata.

Ascolto la telefonata mentre raccolgo la pioggia con il colapasta.
martedì 23 novembre 2010
Senza stivali.

Così rientrò a casa a zampe nude. Appena dentro tirò fuori dalla tasca il cellulare e chiamò l'Agenzia di Viaggi di Alice e le confermò che avrebbe portato solo un piccolo bagaglio a mano nel Paese delle Meraviglie.
sabato 20 novembre 2010
Punti fedeltà.

Ricordi? Così per sempre vivere, dicevi. Portavi sulla bocca parole leggere ed in centro la tua pelle. Le tue scollature ferivano mortalmente, i tuoi denti scintillavano furore. Ora spingi un carrello sempre troppo pieno nei supermercati in cerca di offerte promozionali, apparecchi la tavola allineando perfettamente le posate, voti a sinistra con la mano destra. La sera entri nel letto in modo ordinato e al mattino ti svegli senza aver stropicciato le lenzuola. Che fine hai fatto Mademoiselle baciatemi e scordatemi? Oggi è domenica e conterai i punti fedeltà. Ne mancheranno solo un milione per vincere un pezzetto bello tondo di cielo d'estate.
venerdì 19 novembre 2010
Seicento secondi.
Da dieci minuti è passata la mezzanotte. Da dieci minuti un nuovo giorno è cominciato. Dieci minuti fa era un po' più giovane. Ora è un po' più vecchio: dieci minuti in più. Seicento secondi, seicento battiti. Contati uno ad uno, con attenzione, con timore. La luna è uno straccio bianco appeso al vetro, un alone, una macchia nel cielo. La polvere è lì, sul vassoio d'argento. In attesa. Non ci resterà molto. Bianca come la pelle di questa notte, come la neve dell'altro ieri. Scendeva copiosa, fiocchi soffici, quasi caldi. Un mistero per un posto adagiato sul mare. Nel mese di agosto, i bagnanti vocianti con doposci ai piedi. Poi tutto è tornato normale. La spiaggia dorata, i pattini nell'acqua salata, le ragazze in bikini. Ombrelloni, sdraio, lettini, creme, secchielli, palette, bambini, bagnini e il vecchio juke-box che tanto ha fatto sognare.
Seicento secondi, seicento battiti. E' tempo di spolverare.
Seicento secondi, seicento battiti. E' tempo di spolverare.
giovedì 18 novembre 2010
Mare immobile.

martedì 16 novembre 2010
Cartolina.

lunedì 15 novembre 2010
Inverno.
Il chimico posteggiò la cinquecento L, spense il motore, aprì la portiera e scese. Camminando lungo il bordo della strada giunse ad una fermata del filobus dove decise di fermarsi ad aspettare l'inverno.
Il vegetariano sovrappeso si guardò nudo allo specchio e si vide troppo grasso. Poco dopo, con abiti da jogging, correva lungo il bordo della medesima strada. Arrancando raggiunse la pensilina della fermata del filobus, vi si appoggiò ansando e decise di fermarsi ad aspettare l'inverno.
Il geometra volò da casa all'areoporto a bordo della sua decapotabile ascoltando musica rock. Senza bagaglio si diresse al check-in, regolò le pratiche d'imbarco e si avviò verso il Gate 3 dove l'attendeva un Boeing 747 per Cuba. Passando davanti ad un bar dell'aereostazione decise di sedersi ad un tavolino per bere un drink. Ordinò un Cuba Libre e si sedette. Guardando attraverso la grande vetrata che dava sulla pista di decollo vide l'aereo che aspettava. Sorrise stringendo il bicchiere raffreddato dai cubetti di ghiaccio, poi lo avvicinò alle labbra, ne assaporò il contenuto e si addormentò sognando di aspettare l'inverno.
Il batterista gettò nella discarica il suo strumento ed una bacchetta, l'altra la tenne per ricordo. A causa di un enorme buco nella memoria decise di smettere con la musica. Tornato a casa, lisciò il pelo al gatto e si distese sul divano. Con gli occhi aperti fissi al soffitto pensò ai suoi due figli ormai grandi e li vide correre nel sole dell'estate. Si dissse soddisfatto per come aveva contribuito a crescerli, chiuse gli occhi ed aspettò l'inverno.
L'albergatore comparve dietro la porta dell'ascensore che si apriva sulla hall ormai vuota. Da tempo l'albergo era chiuso e l'unico cliente era il suo grosso cane che sonnecchiava sdraiato su di un tappeto persiano proprio nel mezzo della sala. Un grande peluche di Snoopy, dal banco ricevimento, lo fissava. Attraversò la hall sbirciando il cane che non scodinzolò e, ignorando l'amico di Charlie Brown, aprì la porta ed uscì sul lungomare. Il mare era mosso, si udiva il violento frangersi delle onde. Attraversò la strada e mise i piedi nudi sulla sabbia. Lentamente, passo dopo passo, si avvicinò alla battigia. Quando le dita toccarono l'acqua si lasciò cadere e trasportare dalla corrente. Galleggiando con gli occhi rivolti al cielo andò incontro all'inverno.
Lo scrittore pensò a loro ed ad altri avvolto dalle volute blu dell'ultima sigaretta di una notte piena di fumo. A loro dedicò i suoi pensieri e un gesto della mano. Poi spense la luce ed andò a dormire. Era inverno ma non se ne accorse.
Il vegetariano sovrappeso si guardò nudo allo specchio e si vide troppo grasso. Poco dopo, con abiti da jogging, correva lungo il bordo della medesima strada. Arrancando raggiunse la pensilina della fermata del filobus, vi si appoggiò ansando e decise di fermarsi ad aspettare l'inverno.

Il batterista gettò nella discarica il suo strumento ed una bacchetta, l'altra la tenne per ricordo. A causa di un enorme buco nella memoria decise di smettere con la musica. Tornato a casa, lisciò il pelo al gatto e si distese sul divano. Con gli occhi aperti fissi al soffitto pensò ai suoi due figli ormai grandi e li vide correre nel sole dell'estate. Si dissse soddisfatto per come aveva contribuito a crescerli, chiuse gli occhi ed aspettò l'inverno.
L'albergatore comparve dietro la porta dell'ascensore che si apriva sulla hall ormai vuota. Da tempo l'albergo era chiuso e l'unico cliente era il suo grosso cane che sonnecchiava sdraiato su di un tappeto persiano proprio nel mezzo della sala. Un grande peluche di Snoopy, dal banco ricevimento, lo fissava. Attraversò la hall sbirciando il cane che non scodinzolò e, ignorando l'amico di Charlie Brown, aprì la porta ed uscì sul lungomare. Il mare era mosso, si udiva il violento frangersi delle onde. Attraversò la strada e mise i piedi nudi sulla sabbia. Lentamente, passo dopo passo, si avvicinò alla battigia. Quando le dita toccarono l'acqua si lasciò cadere e trasportare dalla corrente. Galleggiando con gli occhi rivolti al cielo andò incontro all'inverno.
Lo scrittore pensò a loro ed ad altri avvolto dalle volute blu dell'ultima sigaretta di una notte piena di fumo. A loro dedicò i suoi pensieri e un gesto della mano. Poi spense la luce ed andò a dormire. Era inverno ma non se ne accorse.
domenica 14 novembre 2010
L'equilibrista.

A me è successo così. Ero solo, sballottato dalle onde, coperto di sale. Stremato stavo per affogare poi tutto si è fermato ed oggi sono qui a guardarlo passeggiare. Non so se sia stato lui, l'equilibrista, a salvarmi, ma mi piace pensarlo.
Si, potete pensare che io sia pazzo. Non è così.
giovedì 11 novembre 2010
Giovanna.

Giovanna, seduta sulla riva con i piedi nell'acqua e il sole negli occhi, osservava le foglie trascinate dalla corrente del fiume.
martedì 9 novembre 2010
Marchionne.

Qui finì il sogno e, come si dice, tutto bene quel che finisce bene.
lunedì 8 novembre 2010
La locomotiva.

“Sai che essere una locomotiva, in fondo, non è poi male per un uomo. Ti da un senso di onnipotenza e poi si viaggia. Si va, si torna, belli, precisi. Su bei binari lucenti, scintillanti. Insomma una gran bella, sana, vita!” – Il professore filosofeggiava e l’emiliano locomotore sbuffava. Poi commise un errore, si addentrò in un eloquio sulla modernità, su quanto fascinoso fosse rullare su binari sospinti dalla forza motrice generata dalla corrente ad alta tensione, sulle nuove frontiere dell’alta velocità e via discorrendo. Si udì una voce cavernosa, leggermente alterata, che riempì il vuoto della stanza. “ Io sono una locomotiva alimentata a carbone…Stronzo!” Sullo stronzo, due mani grandi come badili, a forma di tenaglia, si strinsero al collo del piccolo professore di Samarcanda. Ci vollero quattro energumeni vestiti di bianco per liberarlo da quel simpatico abbraccio.
sabato 6 novembre 2010
Walter.

Poi solo silenzio. Anche la segreteria smise di frusciare. Walter pigiò il pulsante e tese le orecchie. Le tese così tanto che si raddoppiarono in grandezza ma non udì nulla. Si disse che qualcuno probabilmente malediva la sua diversità. Forse non a tutti piaceva la sua abitudine di masticare lucertole e, osservando Dio, si inventò la felicità.
mercoledì 3 novembre 2010
Disteso sull'erba.
Disteso sull'erba, all'ombra di un tiglio, aspettavo una Primavera. Venne, seguita a ruota da un motorino con in sella un ragazzino che mi guardava con sospetto. Dissi " Ciao.." e tutto cominciò. Montando su quella Vespa condotta da un sogno lo osservai. Magro, capelli ricci leggermente scapigliati, con gli occhi infuocati di chi sa che qualcun'altro, venuto da Marte, gli ruberà il suo di sogno. Guidava il Benelli tre marce con la distrazione dell'innamorato e la furia di uno scienziato. Oggi è un umanista e forse furono quelle stradine di campagna, quelle curve scivolose, quelle salite e discese percorse anche di notte sotto milioni di stelle durante quella fiabesca estate a farlo derapare verso lidi frequentati da poeti e scrittori. Procedevamo spediti, circondati da odorosi prati, sulla tortuosa salita che portava alla Canonica. La mia autista era provetta e spericolata motociclista figlia di un motociclista, lui restava in scia cercando di non sbagliare nello scalare le marce. Arrivammo ridendo felici e la Primavera si spense. Scendendo mi voltai e lo vidi sgommare sgasando via. Lo salutai con la mano ma lui non se ne accorse, era già lontano. La sera dopo lo rividi e conobbi il suo nome. Giocammo a bocce, ma questa è un'altra storia.
martedì 2 novembre 2010
Jesus.

Batman
Da tre mesi sono ospite in una pensione nel quartiere del porto.Nella stanza vicino alla mia vive da due anni un transessuale che batte sui controviali intorno alla stazione e, una notte sì e l’altra anche, torna pesto, ma lui dice che in fondo non gli dispiace perchè è nato a Genova. Humor tipicamente anglosassone e si sa che i genovesi adorano l’Inghilterra. Si chiama Antonio, ha la barba, ma per tutti è la Roberta. Ogni volta che mi incontra, sorride e mi chiama amore. Io lo mando regolarmente a fanculo e lui risponde che, pur non sapendolo, sono un buongustaio e se ne va sculettando, emettendo una serie di sospirati gridolini, inseguita da un secondo fanculo condito da un troia. Nella stanza dirimpetto al cacatoio, abitava, da non so quanto tempo, un vecchio che, si dice, avesse lavorato come nano, anche se era alto circa un metro e ottanta, al circo di Darix Togni.
Si chiamava Andrea, ma per tutti era Batman, non perchè facesse numeri acrobatici, ma a causa del tremore che gli procurava il morbo di Parkinson, che lo aveva colpito e gli faceva battere le mani. Circa un mese fa gli regalai delle bacchette da batterista che avevo rubato in un bar dove suonavano spesso del jazz e lui si trasformò, dotato di temperamento artistico com’era, in un novello Max Roach, fracassando tutto ciò che trovava sulla sua strada. Batman era davvero incredibile. Un giorno qualcuno gli disse che, con un nome simile, avrebbe sicuramente potuto volare e lui si gettò dalla finestra del terzo piano, agitando le bacchette e, dopo avere sfondato la tettoia in plexiglass della lavanderia a gettoni sottostante, andò in mille pezzi. Si dice, che le mani intrise di Parkinson, come la coda mozza di una lucertola, continuarono a muoversi, per qualche minuto, suonando un ritmo in levare.
Si chiamava Andrea, ma per tutti era Batman, non perchè facesse numeri acrobatici, ma a causa del tremore che gli procurava il morbo di Parkinson, che lo aveva colpito e gli faceva battere le mani. Circa un mese fa gli regalai delle bacchette da batterista che avevo rubato in un bar dove suonavano spesso del jazz e lui si trasformò, dotato di temperamento artistico com’era, in un novello Max Roach, fracassando tutto ciò che trovava sulla sua strada. Batman era davvero incredibile. Un giorno qualcuno gli disse che, con un nome simile, avrebbe sicuramente potuto volare e lui si gettò dalla finestra del terzo piano, agitando le bacchette e, dopo avere sfondato la tettoia in plexiglass della lavanderia a gettoni sottostante, andò in mille pezzi. Si dice, che le mani intrise di Parkinson, come la coda mozza di una lucertola, continuarono a muoversi, per qualche minuto, suonando un ritmo in levare.
lunedì 1 novembre 2010
Pensiero stupendo.

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